Dopo i pareri del Consiglio
di Stato e della
Conferenza Unificata, e alla Camera delle Commissioni V
(Bilancio e Tesoro) e XIV (Politiche dell’Unione Europea), si
attendono solo gli ultimi “via libera” prima di procedere con la
pubblicazione del primo vero correttivo al Codice dei contratti di
cui al D.Lgs. n. 36/2023.
Correttivo Codice dei contratti: le tempistiche e i pareri
Arriveranno entro martedì 17 dicembre 2024 i pareri:
- alla Camera dell’VIII Commissione (Ambiente, territorio e
lavori pubblici); - al Senato delle Commissioni 5a (Bilancio),
4a (Politiche dell’Unione europea) e 8a
(Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici,
comunicazioni, innovazione tecnologica).
I pareri erano inizialmente previsti entro l’11 dicembre 2024,
ma il Governo si è reso disponibile ad attendere fino alla
mattinata di martedì 17 dicembre 2024.
Proroga che ha consentito in ottava Commissione al Senato di
presentare uno schema di parere alternativo che sarebbe contrario
(e per questo difficilmente sarà preso in considerazione).
Ricordiamo, infatti, che i tempi di approvazione del correttivo
e la voglia di non superare il 31 dicembre per la pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale, porteranno certamente il Governo ad andare
avanti pur in presenza di osservazioni non vincolanti per
l’emanazione del provvedimento.
Dal 17 dicembre il Governo avrà solo l’onere di trasmettere
nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con
eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi
integrativi di informazione e motivazione. Le Commissioni
competenti per materia potranno esprimersi sulle osservazioni del
Governo entro dieci giorni dall’assegnazione; decorso tale termine
il decreto legislativo può essere comunque emanato. Per non sforare
le tempistiche di pubblicazione in Gazzetta entro il 31 dicembre,
il Governo risponderà al Parlamento entro e non oltre il 19
dicembre (massimo 20).
Il parere dell’ottava Commissione al Senato
I senatori De Cristofaro, Cucchi, Aurora Floridia e Magni,
(tutti Misto, Alleanza verdi e Sinistra), componenti
dell’ottava commissione, hanno presentato uno schema di
parere alternativo, secondo il quale, premesso che lo schema di
decreto:
- agli articoli 1 e 63, introduce l’allegato I.01 per
disciplinare i criteri e le modalità per l’individuazione, nei
bandi e negli inviti, ai sensi dell’articolo 11, commi 1 e 2 del
codice di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, del
contratto collettivo applicabile al personale impiegato nelle
attività oggetto di appalti pubblici e concessioni, nonché per la
presentazione e la verifica della dichiarazione di equivalenza
delle tutele ai sensi dell’articolo 11, commi 3 e 4; - questa modifica, in particolare, rappresenta un attacco al
principio per cui è l’attività oggetto dell’appalto – svolto anche
in maniera prevalente – a individuare il CCNL da applicare ai
lavoratori coinvolti, insieme alla comparativamente maggiore
rappresentanza dei soggetti firmatari (attuale articolo 11 del D.
Lgs. 36/2023); - le modifiche proposte infatti inseriscono tante e tante
variabili che, se non adeguatamente modificate porteranno con ogni
probabilità al fenomeno del c.d. dumping contrattuale, secondo le
peggiori pratiche del mercato privato, in quello che rimane
comunque un settore alimentato da risorse pubbliche e che dovrebbe
essere una “leva industriale” volta a far crescere qualità,
dimensione di impresa, valore aggiunto nei diversi settori
produttivi, oltre che garantire il massimo delle tutele economiche
e normative, orientando in meglio l’intero assetto delle relazioni
industriali e fornendo coordinate “in avanti”; - il testo in esame prospetta il rischio che si accetti il
principio non più di favorire il meglio, ma di accettare il peggio,
in un sistema dove, mancando una legge sulla rappresentanza, in
attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, i rischi di
degenerazione sono ormai noti, per moltiplicazione e crisi della
rappresentanza datoriale, per la presenza di soggetti con
pochissimi associati, per sovrapposizioni di perimetri sempre più
spinte; - la proposta del Governo sembra abbracciare una visione politica
specifica – mercantilista – delle relazioni industriali, con il
sistema contrattuale collettivo non più inteso come sistema
regolatorio e parte essenziale della democrazia economica, per cui
cogenza e rappresentatività ne sono essenza e presupposto, ma
“mercato” da conquistare a dispetto della rappresentanza e della
reale efficacia protettiva; - tale principio rappresenterebbe una “contro rivoluzione”
rispetto allo spirito dello stesso “Patto per la fabbrica”, con il
suo giusto obiettivo di andare sempre più vicini ad un sistema
basato sui c.d. “CCNL leader” e riportare gli stessi CCNL alla
reale attività svolta dalle imprese; - nello specifico, l’A.G. 226 propone di modificare l’articolo 11
del Codice degli Appalti (D. Lgs. 36/23), in particolare al comma 2
e al comma 4. Il comma 2 obbliga le stazioni appaltanti ad indicare
il CCNL applicabile in base al comma 1 (Ccnl e contratto
territoriale “in vigore per settore e per la zona stipulati dalle
associazione dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente
più rappresentative a livello nazionale e cui ambito di
applicazione sia strettamente connesso all’attività oggetto
dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in
maniera prevalente”), mentre il comma 4 prevede la verifica, in
caso di altro CCNL applicato dall’impresa, di equivalenza delle
tutele rispetto al CCNL indicato dalla Stazione appaltante. La
proposta governativa inserisce un rinvio aggiuntivo ad un nuovo
Allegato: l’allegato I.01, che, accanto al principio che è
l’oggetto dell’appalto a “fare il CCNL”, introduce anche altri
indicatori (codici Ateco e specifici criteri di rappresentatività
sui quali tutti i sindacati hanno già espresso la propria
contrarietà) e poi il principio della “dimensione” e della “natura
giuridica dell’impresa” per identificare l’equivalenza tra CCNL
diversi da quelli indicati dalla Stazione appaltante; - inoltre, per la prima volta verrebbero normati i criteri della
“comparazione” ai fini della rappresentatività maggiore, con
criteri che introdurrebbero ulteriore vulnus sulla reale
consistenza dei firmatari, allontanandoci ancora di più dalla
certezza e cogenza di un accordo in virtù se non della norma
costituzionale – mai applicata – per lo meno dello spirito
dell’articolo 39 e dei principali accordi interconfederali siglati
in tutti i decenni passati; - inaccettabile l’equiparazione che il nuovo Allegato
introdurrebbe sia tra indicatori tra loro diversi e non sempre
omogenei tra loro, sia tra CCNL in realtà non equivalenti, in
quanto condurrebbe ad un invitabile effetto di “dumping” e di
“ribasso mascherato” rispetto al CCNL leader e al costo del lavoro
come calcolato e comunicato dalla Stazione Appaltante; inoltre, lo
schema di decreto, all’articolo 81, comma 1, lett. d), modifica
l’articolo 18, comma 15, dell’allegato II.12 del Codice (avente ad
oggetto il “sistema di qualificazione e requisiti per gli esecutori
dei lavori”) eliminando il riferimento alle Casse Edili, ai fini
dell’individuazione del costo complessivo sostenuto per il
personale dipendente; - la legge delega n. 78/2022 non prevede né la possibilità per
l’operatore economico di applicare un contratto collettivo
nazionale di lavoro diverso da quelli sottoscritti dalle
associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale, né demanda al decreto
legislativo di individuare i parametri per la valutazione delle
tutele equivalenti, la cui disciplina è peraltro esaustivamente
dettagliata con l’articolo 3 del citato allegato; - lo stesso articolo 3 necessita comunque di essere modificato
prevedendo che i contratti siano quelli sottoscritti
“congiuntamente” dalle medesime organizzazioni sindacali con
organizzazioni datoriali diverse ed eliminando l’inciso “a
condizione che ai lavoratori dell’operatore economico sia applicato
il contratto collettivo di lavoro corrispondente alla dimensione o
alla natura giuridica dell’impresa”; - all’articolo 2 dell’allegato I.01, occorre sopprimere il
secondo periodo del comma 4 e il comma 5, che individuano parametri
per la verifica delle associazioni sindacali dei lavoratori e
associazioni datoriali comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale, dal momento che, in primo luogo, tale
individuazione non è anch’essa prevista dalla legge delega e, in
secondo luogo, i criteri indicati non colgono in maniera adeguata
gli elementi caratterizzanti il tema della rappresentatività delle
predette associazioni; - inoltre, occorre sopprimere la lettera d) del comma 1 dell’art.
81 dello schema di decreto, mantenendo così invariata l’attuale
formulazione dell’art. 18 comma 15 dell’allegato II.12 del codice
(formulazione che prevede il riferimento alle Casse Edili, ai fini
dell’individuazione del costo complessivo sostenuto per il
personale dipendente);
considerato che:
- giusto quanto sopra, è indispensabile che l’individuazione del
contratto più rappresentativo sia definito in accordo con le parti
sociali;
secondo i senatori:
- l’atto in discussione modifica in modo rilevante le regole che
guidano la scelta del contratto che deve essere applicato, a
garanzia delle tutele economiche e normative da riservare ai
lavoratori, in caso di appalti e subappalti pubblici, introducendo
criteri nuovi per definire le organizzazioni datoriali e sindacali
comparativamente più rappresentative; - questi criteri non sono stati oggetto di confronto con le parti
sociali, che, sia pure nell’articolazione delle proprie posizioni,
dapprima in audizione e poi con interventi pubblici, hanno
evidenziato la necessità di una riflessione più approfondita; - sollecitazioni in tal senso sono venute dalle principali
associazioni datoriali – Abi, Ania, Confcommercio, Confcooperative,
Confindustria e Legacoop – che hanno inviato alle Commissioni di
entrambi i rami del Parlamento una loro proposta di valutazione
della rappresentanza, ad esse si è aggiunta la proposta di Cgil,
Cisl e Uil di avviare un confronto che coinvolga tutte le
principali forze sociali sulla corretta definizione di
organizzazioni sindacali e datoriali ‘comparativamente più
rappresentative’; - le modifiche prospettate, anche secondo i rilievi di ANAC,
oltre a impattare sulle procedure degli appalti pubblici in senso
non condivisibile e sui diritti dei lavoratori ponendoli a rischio,
soprattutto per quanto concerne quelli impiegati nei subappalti,
rischiano oggettivamente di produrre danni rilevanti anche al
nostro sistema di relazioni industriali nel suo complesso, dando
legittimazione e spazio ad attori privi di effettivo radicamento e
rappresentatività, e cioè non riconducibili alla fattispecie
sindacale di cui all’articolo 39, letto in combinato disposto con
gli articoli 1, 2, 3 e 35 della Costituzione, innescando così
dinamiche dagli effetti incontrollati per la tenuta del sistema e
della sua effettività; - il concetto stesso di equivalenza tra contratti collettivi
finisce infatti per sminuire l’essenza di un contratto collettivo
che, secondo l’indimenticata lezione di Ezio Tarantelli, nel suo
celebre studio del 1978 sulla funzione economica del sindacato, non
è un banale meccanismo di fissazione dei salari e neppure un
equivalente funzionale della legge ma un delicato e complesso
sistema politico, sociale e istituzionale per il governo della
economia.
Proprio per questo motivo, il parere alternativo risulta essere
contrario al correttivo proposto dal Governo.
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