Lavoro in Lombardia, aumenta la cassa integrazione: nelle aziende vertenze e tagli. La locomotiva di Milano non corre più

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di
Giampiero Rossi

In sofferenza il comparto manifatturiero e metalmeccanico. Timori per l’indotto del settore automobilistico. I sindacati: segnali di difficoltà in tutta l’industria e molte imprese evitano gli ammortizzatori sociali

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Da una parte i numeri delle analisi statistiche, dall’altra la conta dei tagli annunciati, degli esuberi dichiarati e delle ore di cassa integrazione richieste. E tutti convergono nel descrivere un quadro economico milanese-lombardo tutt’altro che rassicurante.

A soffrire di più è la manifattura industriale e il comparto metalmeccanico sembra essere l’epicentro di questa fase di frenata. Messi in fila, i comunicati sindacali che segnalano le crisi aziendali assumono il tono di un bollettino medico. Si è appena chiusa, per esempio, la vertenza aperta dalla multinazionale svizzera Bystronic (macchine per l’automazione industriale), che aveva annunciato la chiusura totale delle fabbriche di San Giuliano e Fizzonasco, dove lavorano 150 persone. Dopo settimane di mobilitazioni, pressioni politiche e trattative sindacali, si è arrivati a un accordo che salva soltanto 44 posti di lavoro. La Negri Bossi di Cologno Monzese (proprietà della giapponese Nissei), che produce presse per stampaggio con 150 dipendenti, ha dichiarato 40 esuberi senza aver mai chiesto nemmeno un’ora di cassa integrazione.




















































 A Milano città, la Univer — fornitrice di prodotti per l’automotive e la pneumatica — ha disdettato il contratto di solidarietà e avviato una procedura di cassa integrazione straordinaria che, fa sapere la Fiom Cgil, «prevede anche il deposito del concordato preventivo». I 120 dipendenti, che attendono ancora lo stipendio di novembre, non sanno quale sarà il futuro dell’azienda.
Non è mistero che l’indotto dei colossi dell’automobile sia in sofferenza, ma l’allarme dei sindacati va oltre: «Ci sono segnali di crisi trasversali a tutta l’industria — osserva Elena Dorin, segretaria della Fiom Cgil milanese — e per il 2025 temiamo che alla chiusura della coda della cassa integrazione aperta nei mesi scorsi faccia seguito un’ondata di crisi strutturali. E purtroppo stiamo notando che diverse aziende puntano a evitare gli ammortizzatori sociali, come strumento per la conservazione dei posti di lavoro, e dichiarano subito gli esuberi».

Al di là delle singole situazioni, il segnale di allerta rilanciato dai sindacati già dalla scorsa estate è innanzitutto il dato relativo alle ore di cassa integrazione richieste dalle aziende. L’ultimo rapporto della Uil rivela che tra gennaio e agosto 2024, rispetto allo stesso periodo del 2023, le ore autorizzate in Lombardia sono aumentate del 23,4 per cento, raggiungendo quota 60.169.576, con un incremento del 24,9 per cento relativo al solo comparto industriale. Milano segna un +8,2 per cento. In quegli otto mesi i lavoratori lombardi in cassa integrazione sono stati mediamente 44.242, con un incremento di oltre 8.400 rispetto all’anno precedente. E poche settimane fa anche la Banca d’Italia ha confermato il «quadro autunnale» dell’economia lombarda. Crescita, sì, ma con evidenti segni di rallentamento che inducono i tecnici di Bankitalia a prevedere un aumento del prodotto lombardo dello 0,4 per cento per il primo semestre, in linea con l’andamento nazionale.

Insomma, la recessione tedesca e le incertezze planetarie fanno soffrire la manifattura lombarda a forte vocazione export. E così, almeno al momento, la «locomotiva» non viaggia più veloce del resto del Paese. Ma nel frattempo anche a livello nazionale Confindustria ha espresso preoccupazione. «Anche la locomotiva d’Europa, la Lombardia, segna dei colpi. Il lavoro nella regione, grazie a Dio, i dati dicono che non manca, tuttavia in molti casi è un lavoro povero, è un’occupazione che non consente di avere una retribuzione dignitosa — è il commento di Ugo Duci, segretario generale della Cisl Lombardia —. C’è un mismatch, cioè una mancanza di incontro tra la domanda di lavoro di tante imprese lombarde e l’offerta di lavoro — spiega ancora — insomma anche in Lombardia servono politiche della formazione e per il lavoro: non culliamoci sugli allori del passato perché se no tra un po’ ci troveremo non la locomotiva, ma una delle ultime carrozze del nostro Paese».

Proprio ieri, la sede della Cisl di via Vida ha ricevuto la visita dell’arcivescovo Mario Delpini, che è ritornato sul tema del lavoro, già al centro di diversi suoi interventi degli ultimi mesi. E, in particolare, ha parlato di sicurezza: «Mi pare che sia responsabilità di tutti non abituarsi mai al fatto che un uomo o una donna vadano a lavorare al mattino, e alla sera le famiglie non sappiano più come fare, perché c’è stato un incidente. Sono cose drammatiche, credo che ci sia veramente un dovere di collaborare per porre fine a questa strage che più o meno ogni giorno ci inquieta». Gli incidenti sul lavoro, ha aggiunto l’arcivescovo, «sono assolutamente intollerabili, sono un’offesa alla serenità e all’aspettativa delle persone, devono essere aboliti con il contributo di tutti».


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14 dicembre 2024 ( modifica il 14 dicembre 2024 | 08:31)

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