Sport, IA e rivoluzione digitale. Intervista alla Prof.ssa Virginia Zambrano

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La Prof.ssa Virginia Zambrano è PhD in Diritto Civile presso l’Università di Napoli, attualmente è docente all’Università di Salerno, dove insegna Diritto Privato, Diritto dello Sport e Diritto Privato Comparato. È membro del Consiglio Direttivo del corso di dottorato in “Big Data, Economia e Management”. È stata Preside della Facoltà di Giurisprudenza presso la Link Campus University di Roma e Presidente della Fondazione Università di Salerno. Dal 2013, ricopre il ruolo di Giudice del Collegio di Garanzia del Comitato Olimpico Nazionale Italiano. È stata Professore a Contratto presso la McGill University, l’Università di Buenos Aires (UBA) e presso l’Università Pontificia di Porto Alegre. È anche membro dell’Associazione Italiana di Diritto Comparato, dell’Henry Capitant pour le Droit Comparé, dell’Instituto De Desarrollo Y Análisis Del Derecho De Familia En España (IDADFE), dell’Instituto Brasileiro de Direito de Familia (IBDFAM) e della International Society of Family Law. È autrice di numerose pubblicazioni in italiano e in inglese nei campi del diritto delle persone e della famiglia, del diritto civile, del diritto dello sport e del diritto dei contratti.

 

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La Prof.ssa Virginia Zambrano

 

Durante l’evento “Stati Generali del Diritto di Internet e della Intelligenza Artificiale“, che si è svolto il 29 novembre, la professoressa Virginia Zambrano ha tenuto un intervento dal titolo “Sport, IA e rivoluzione digitale”. Il suo intervento ha esplorato le trasformazioni che la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale stanno imponendo al mondo dello sport, nonché le sfide giuridiche e normative che queste innovazioni pongono. In particolare, sono stati affrontati temi legati alla gestione dei dati, alla protezione della privacy, e all’impatto delle nuove tecnologie sul diritto sportivo e sulla regolamentazione internazionale.

 

 

Nel Suo intervento ha sottolineato come l’IA stia trasformando lo sport, influenzando sia le prestazioni degli atleti sia il coinvolgimento del pubblico. Può approfondire quali vantaggi vede in questo cambiamento e quali sono, invece, i rischi principali, specialmente per l’autenticità dell’esperienza sportiva?

Lo sport – almeno quello professionistico – appare oggi più che mai caratterizzato da un peculiare connubio tra attività fisica in sé, Data Analytics e un processo di data integration che ne sta progressivamente cambiando il volto. Entrato nel flusso business delle società sportive, il processo di data integration – grazie al ricorso a machine learning, NLP (natural language processing), computer vision, GenAI, si sta rivelando essenziale nella definizione delle scelte aziendali di una società sportiva, dalla customer relationship mangement (CRM), alla gestione degli eventi, al marketing e alla pubblicità, dal giornalismo alle scommesse sportive, dalla possibilità di coadiuvare il management nella identificazione dei talenti, ai complessi processi di fan engagement favoriti anche dalla possibilità di assicurare esperienze immersive; processi di coinvolgimento che non raramente si spingono fino al cambiamento delle regole per rendere più attrattiva la competizione.

Dal punto di vista del cambiamento delle regole, sia sufficiente pensare a quanto accaduto in uno sport, il Baseball, dove ogni movimento sul campo di fatto genera dati. Qui il ricorso alla piattaforma Statcast e al sistema Hawk-Eye offrendo informazioni su lancio, palle battute e movimenti fisici dei giocatori ha indotto, ad esempio, la MLB nel 2023 ad operare un cambiamento di regole, nella prospettiva di una velocizzazione del gioco nell’ottica di una sua spettacolarizzazione, funzionale ad un maggiore coinvolgimento dei fan. Con tutto ciò che ne consegue da un punto di vista economico (marketing, scommesse, fantasy sport etc). Né di solo questo si tratta. Certo, la capacità dell’IA di elaborare visioni del gesto atletico e/o delle frazioni di gioco, da diverse angolazioni, consente di approdare ad analisi precise, eque e tempestive che si rivelano essenziali per la “misurazione” ed il miglioramento delle prestazioni atletiche, la prevenzione degli infortuni, l’attività di talent scouting, nonché per la definizione della “game strategy” e, anche, per la previsione dei risultati. Questo, ovviamente, se da un lato è funzionale alla crescita di una vera e propria “industria” dello sport, dall’altro rischia di mettere fuori gioco quella unpredictability del risultato che, per Roger Noll, alimentando l’interesse del pubblico nei confronti dello spettacolo sportivo evidenzia come “in sports less information is a good thing in that it increases perceived uncertainty of outcomes, and hence demand”.

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Il valore economico dei dati sportivi è in costante crescita, ma restano aperti molti interrogativi su privacy e proprietà. Quali strumenti ritiene più efficaci per bilanciare la protezione dei dati personali degli atleti con le esigenze di un mercato sempre più data-driven?

Negli sport professionistici l’analisi generata dall’AI e dagli algoritmi di apprendimento automatico è cresciuta rapidamente ed è sempre più utilizzata per valutare il livello – anche prospettico – di performance dell’atleta e gli eventuali margini di miglioramento, la predisposizione ad infortuni, il livello di resistenza allo stress in game, nonché per definire strategie e schemi di gioco sì da poter “prevedere” in qualche modo l’esito di partite o di intere stagioni. I sistemi di intelligenza artificiale sono in grado di elaborare, a differenza degli esseri umani – enormi volumi di dati, da quelli biometrici a quelli raccolti in gioco, rivelando interdipendenze e collegamenti sottili.   In un futuro non troppo lontano i modelli informatici potrebbero produrre resoconti e commenti completamente automatizzati.

Alle opportunità generate dalla gestione dei dati si affiancano così interrogativi legati alla individuazione del soggetto che detiene i diritti sui dati di allenamento e di prestazione dell’atleta; interrogativi amplificati dal fatto che siffatte informazioni sono utilizzate (come detto) per una molteplicità di scopi, non ultimo anche da terze parti, a scopo di intrattenimento (società di fantasy sport, gioco d’azzardo e videogiochi). Il discorso che qui si svolge è reso più complesso in considerazione del fatto che non tutti i dati sportivi posseggono il medesimo valore.

Una cosa, infatti, sono i dati raccolti in fase di allenamento (Performance Data), altra le informazioni che si ricavano assistendo ad un evento sportivo (Competition Data) e, nell’ambito dei Performance Data, una cosa sono i dati personali e altra quelli biometrici di natura comportamentale. Se mettiamo da parte i dati biometrici (battito e/o frequenza cardiaca, reazione allo stress, livello di glucosio nel sangue, e altri dati biometrici di carattere comportamentale, variamente acquisiti attraverso abbigliamenti speciali e wearable devices) un buon numero di informazioni a) non sono riservate; b) posseggono – per le ragioni dette – anche un innegabile e rilevante valore economico.

In quanto desumibili dal semplice fatto di assistere alla competizione, alcune di queste informazioni quali, ad esempio, in quanti minuti si corrono 42 km, la velocità impressa alla pallina da tennis in fase di battuta, quanti minuti un giocatore è stato sul campo, il numero di falli commessi, le volte in cui è sceso a rete (nel calcio), quante mete ha segnato, o quanti ace, sono assistite da una inevitabile “pubblicità”. Nel baseball, ad esempio, la raccolta di dati relativi al movimento di anca e spalla dell’atleta e alla conseguente attivazione delle catene muscolari al momento dello swing o la posizione dei piedi in base racconta molto sulle capacità di miglioramento dell’atleta e influisce sul suo valore di mercato. Il fatto che si tratti di un movimento che si realizza in pubblico e, dunque, sia privo di qualsivoglia riservatezza, è indubbio. Così come è evidente che si tratta di dati personali che sono sfruttati economicamente con buona pace di ogni consenso. Basti pensare alle piattaforme come Opta che, registrando gli eventi live, leggono queste informazioni, le elaborano grazie anche a sistemi di IA e le vendono agli allibratori che le utilizzano per stabilire quote e individuare eventuali irregolarità. Si tratta di un mercato – come osserva A. Musio – in forte crescita e che pone evidenti problemi di controllo.

L’obiezione di cui all’art. 9, comma 1, lett. e), GDPR a norma del quale il divieto di trattamento non opera in presenza di “dati personali resi manifestamente pubblici dall’interessato” non pare avere pregio, almeno non per i dati che sono sfruttati economicamente dalle società. A prendere la scena, infatti, è l’utilizzo economico di queste informazioni non il loro trattamento. Tanto, senza considerare che è lo stesso consenso al trattamento dei dati ad offrirsi a ben fragile strumento di tutela come emerge dal fatto che nei contratti con l’atleta la prestazione del consenso è richiesta ai fini della “esecuzione” dello stesso. Il che già far sorgere qualche dubbio sulla libertà di un consenso al trattamento dei dati che è necessario all’efficacia del rapporto. Ma v’è dell’altro.

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Se, infatti, si mette da parte l’ipotesi di un contratto dove l’autorizzazione alla raccolta e all’uso dei dati sulle prestazioni del giocatore si accompagna all’indicazione dettagliata e chiara su perché e come i dati saranno utilizzati, è agevole rendersi conto del fatto che, nella maggior parte dei casi, queste informazioni vengono elaborate in assenza di qualsiasi consenso diretto su come potrebbero essere (e vengono) impiegate anche per generare profitti (tra cui, iter alia, è la cessione di questi dati per alimentare giochi e scommesse). Che la questione sia rilevante è confermato dal fatto che – anche a prescindere da un interesse economico del titolare dei dati – l’atleta potrebbe avere interesse a vietarne la commercializzazione perché, ad esempio, di fede musulmana. Quale soluzione dunque?

Per quanto fragile, la tutela offerta dall’informazione e dal consenso rimane centrale. A condizione che, tuttavia, si tratti di un consenso effettivo, informato e libero. Un consenso al controllo dei dati che ben potrebbe essere negato.

 

L’IA, con la Sua capacità di analizzare e prevedere, rischia di minare l’imprevedibilità del risultato sportivo, che è parte fondamentale del fascino dello sport. Quali strategie ritiene possano essere introdotte per preservare questa componente, garantendo al contempo una gestione etica e trasparente delle tecnologie avanzate?

Vorrei prendere le mosse da quello che per gli economisti è il paradosso di Louis-Schmeling con cui Walter Neale ha elaborato un’elegante spiegazione del fascino degli eventi sportivi. Il paradosso offre una chiara descrizione del danno che si produrrebbe in ambito sportivo se si conoscesse l’esito (nel caso di specie si trattava di due pugili) dell’incontro. Per Neale, insomma, ciò che suscita interesse e alimenta l’economia dello sport è l’incertezza dell’esito. Dall’altra parte, è però vero che le società sportive, operando come agenti economici, cercano di ridurre al minimo la concorrenza e massimizzare i profitti. Ora non v’è dubbio che l’AI lavorando su un set di regole prestabilite e di dati e maneggiando un elevato numero di informazioni, riesca anche ad operare, non senza un elevato grado di affidabilità, in funzione predittiva con buona pace di quella incertezza che contribuisce a costruire (pur non esaurendola) l’attrattività dello sport. E la predizione qui non è solo del risultato ma della stessa performance, nella misura in cui l’elaborazione di modelli algoritmici è in grado di prevedere la reazione di un atleta al carico di allenamento o al cambio di alimentazione. Tanto, senza considerare il ricorso a sistemi di rilevazione del gioco basati sull’AI che, grazie alla capacità di elaborare visioni da diverse angolazioni (penso alla Goal Line Technology), consente di approdare ad analisi precise, eque e tempestive delle frazioni di gioco (o anche immagini ben definite per verificare se nel salto in lungo sia stata correttamente effettuata la battuta), così definitivamente eliminando decisioni basate su eventuali pregiudizi o errate valutazioni di fuorigioco, falli e così via enumerando. Tutto ciò con buona pace per quelle appassionate discussioni dei tifosi che, in un mondo ancora non digitalizzato, si dilatavano (nel calcio, come in altri sport) lungo l’intero arco di una settimana.

La strada per salvare quella componente della imprevedibilità del risultato che, accanto alla qualità del gesto atletico, rende interessante la competizione sportiva è nel ricordarsi che le opportunità offerte dall’IA devono affiancare e non sostituire quella componente umana che, sola, è in grado di salvaguardare la naturalità del gesto atletico, sollecitando coinvolgimento emotivo e partecipazione. Ma qui ci si muove sul piano del “sollen” che è diverso, ovviamente dal “sein”.

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  1. Implicazioni Etiche e Legali:

Le tecnologie come protesi avanzate o interfacce cervello-computer stanno sfumando i confini tra uomo e macchina nello sport. Guardando avanti, quali saranno secondo Lei le innovazioni più impattanti dell’IA nel mondo sportivo?

Il futuro – piaccia o meno – lascia intravedere una realtà nella quale i processi interattivi tra uomo e macchina si faranno sempre più stretti. In una realtà dove l’indistinguibilità fra naturale e artificiale appare destinata a dar vita ad una nuova, complessa, dimensione umana il punto è piuttosto stabilire le coordinate che consentano di verificare chi (o cosa) abbia il controllo “sull’altra parte” e cosa voglia dire appartenere ancora al genere umano. Questo smarrimento di confini non manca di riverberare i suoi effetti anche nello sport. Al netto del suo essere poi stato ammesso alla competizione perché le protesi non potevano considerarsi un vantaggio, il caso Pistorius mostra come le tecnologie che compensano la disabilità, spostino sempre più in avanti le frontiere dell’umano e come, di fatto lo sport si presti ad essere un laboratorio di esplorazione delle potenzialità che robotica e AI offrono. Basti pensare alle Cybathlon, Olimpiadi per atleti bionici dove, connettendo sistemi elettronici al corpo umano attraverso protesi e impianti al fine di riparare o migliorare capacità fisiche carenti, sono testate sempre più sofisticate Assistve Technologies (AT).

L’era “cyborg” trova così nello sport un luogo di sperimentazione che consente di individuare i limiti del corpo umano e testare una serie di invenzioni tecnologiche che sempre più vanno nella direzione di un dispositivo integrato” umano”. Dal controllo mentale degli arti, dalla stampa 3D al Blindtrack System[1] – che, attraverso un algoritmo di previsione è in grado di calcolare la traiettoria di ciascun corridore e, dunque, consente all’atleta ipovedente di correre senza guida – dispositivi di assistenza avanzati, tra cui protesi robotiche, esoscheletri elettrici e interfacce cervello-computer (BCI) mettono in rilevante la progressiva fusione uomo/macchina. La dimensione autenticamente naturale della persona è così costantemente sfidata da applicazioni neuroscientifiche e neurotecnologiche rispetto alle quali i principi etici a difesa della dignità umana frappongono una difesa troppo fragile e astratta. Vieppiù, come si diceva, alla luce di una realtà che sembra muovere verso progressive “ibridazioni”.

In questo assottigliarsi del discrimen fra scopo terapeutico e scopo migliorativo si consuma una “naturalità” della persona che, accanto alla riscrittura in termini “informazionali” della stessa e degli strumenti in grado di assicurare il controllo sui dati relativi a ciò che le persone fanno e vogliono,  sembra porre in discussione il suo stesso essere, almeno per come è stato finora concepito, invitando a riscrivere – in un futuro forse non troppo lontano – quei concetti (capacità, soggettività, personalità) tradizionalmente costruiti intorno alla persona umana.

 

 

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Ritiene che l’attuale quadro normativo sia in grado di affrontare queste nuove sfide? Quali aspetti dovrebbero essere prioritari in una futura regolamentazione? Ci sono ambiti specifici che richiederanno una maggiore attenzione legislativa o etica per garantire uno sviluppo equilibrato?

Non credo che il quadro normativo attuale sia in grado di affrontare le sfide sollevate dalla tecnologia. Leggi e regolamenti si sforzano di stare al passo con l’innovazione ma l’intervento del legislatore – quando v’è – nasce sostanzialmente “vecchio” e non in grado di rispondere alle preoccupazioni legate a trasparenza e imparzialità. L’Artificial Intelligence Act, che pure tenta di offrire un organico frame normativo così come il REGOLAMENTO (UE) 2024/1689 rappresentano sicuramente un tentativo di regolamentazione che tuttavia – come non ha mancato di rilevare il collega Zeno Zencovich[2] – “is simply a declamatory exercise in regulation” che vuole solo presentare l’Europa come l’autorità mondiale in grado di fissare accurati standard in questo campo. Tanto meno, in materia di tutela dei dati sportivi, un quadro regolatorio adeguato è, per le ragioni dette, quello offerto dal GDPR. Sul piano della tutela dei dati personali occorre prendere in considerazione i problemi legati alla disinformazione e al consenso. Per uno sviluppo etico e giuridico dell’IA nell’ambito dell’analisi sportiva sarebbe necessario pensare a soluzioni che prevedano, ad esempio, un approvvigionamento trasparente dei dati e della loro gestione, nella prospettiva della tutela della privacy degli utenti; offrano garanzia della trasparenza delle fonti dei dati e dei comportamenti dei modelli di IA; assicurino scelte di opt-out agli utenti.

Ma v’è dell’altro. Oltre ad implicazioni legate alla tutela dei dati, il ricorso all’IA nelle analisi sportive solleva delicate questioni di proprietà intellettuale. Alcuni modelli di IA generativa sono addestrati su contenuti protetti da copyright, il che solleva dubbi relativi all’uso che di questi dati, attesa la loro natura, è legittimo attendersi nonché al rilievo che potrebbero avere eventuali accordi di licenza. È innegabile, quindi, che i sistemi di IA, analizzando i dati sulle prestazioni degli atleti finiscano con il violare i diritti delle società e dei media partner e con lo sfruttare i loro investimenti. Tanto senza considerare che la generazione di pronostici si basa non raramente (in violazione di terms of service) anche sull’attività di scraping dei siti web. Le organizzazioni sportive hanno, da parte loro, sicuro interesse a controllare le modalità di commercializzazione della loro proprietà intellettuale. Che si tratti di problematiche di non agevole soluzione è confermato altresì dal fatto che l’IA, confondendo i confini fra input e output pone in rilevante la questione su chi detenga i diritti sui dati sviluppati, specie quando questi posseggano un certo livello di originalità e su come gestire le controversie sulla proprietà dei contenuti generati dall’IA.

Detto questo, non si può negare l’importanza anche sociale dell’IA e delle informazioni da essa generate. Ed ecco che allora – nel processo di regolazione – occorrerebbe tener conto anche dello scopo per cui questi dati sono utilizzati. Così occorrerebbe distinguere, ad esempio, fra profili educativi o relativi alla natura dell’opera da proteggere, e uso a fini commerciali dei dati. In sostanza ritengo che siano necessarie regolamentazioni sfumate e linee guida etiche per bilanciare gli interessi di tutti gli attori coinvolti con i più ampi benefici sociali dell’IA. Piuttosto che divieti categorici, sarebbe opportuno pensare a restrizioni proporzionate alle applicazioni commerciali, insieme ad ampie autorizzazioni per gli usi di interesse pubblico.

 

 

Considerando esempi come il “Progetto Cartellino Rosso” e la “Charter of Player Data Rights,” quali ritiene siano le best practice da seguire per garantire un trattamento equo e trasparente dei dati degli atleti?

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Il “progetto Cartellino Rosso “ (Project Red Card) nasce a seguito dell’iniziativa di Russel Slade e dell’azienda di dati sportivi e tecnologia Global Sports Data and Technology Group, co-fondata insieme all’esperto di tecnologia Jason Dunlop. Facendo leva sulle disposizioni di cui al Data Privacy Act UK (2018), i giocatori hanno dato vita ad una class action sostenendo di non aver dato il consenso all’uso dei loro dati; di non aver avuto la possibilità di modificare i dati che li riguardavano, e tanto meno di aver ricevuto compensi per l’utilizzo degli stessi. Essi hanno in definitiva lamentato di essere esclusi completamente da ogni iniziativa economica. Il successo dell’iniziativa è testimoniato dal consenso suscitato in ambito sportivo come dimostra il fatto che, partita dai calciatori della Premier League, English Football League, National League e Scottish Premier League, l’iniziativa ha coinvolto anche atleti del rugby e del cricket. Sullo sfondo di questo claim è la consapevolezza della crescente importanza assunta dalle nuove tecnologie utilizzate, nel calcio come in altri sport, per la raccolta di grandi quantità di dati relativi alle prestazioni e al benessere dei calciatori. Le implicazioni del Project Red Card sono molteplici. Sullo sfondo è quell’esigenza degli atleti di recuperare il controllo sui loro Performance Data che lascia affiorare problemi legati a ruolo del consenso, proprietà dei dati e loro uso etico. Il claim sembrava, quindi, possedere i caratteri necessari ad aprire una finestra sul problema della privacy e dei diritti sui dati personali nel settore sportivo. Ciò nonostante, a voler parafrasare il linguaggio sportivo, la “partita” sembra essersi chiusa (almeno per il momento) con un risultato negativo.

Chiamati ad esprimersi su un caso di un uso non consentito di dati da parte di Google, che si era avvalsa di un workaround tecnico per inserire cookie di tracciamento senza che gli utenti ne fossero a conoscenza o avessero prestato il proprio consenso, i giudici della SCUK in Lloyd v. Google[3] hanno precisato che non è dato individuare un risarcimento per “loss of control” dei dati personali che trovi fondamento nella sect. 13 DPA UK.

Sebbene la Corte Suprema abbia lasciato aperto qualche spiraglio relativamente alla ammissibilità delle azioni rappresentative avanzate in relazione a richieste di risarcimento per violazione delle norme in tema di protezione dei dati, il rifiuto del danno da “perdita di controllo” e il fatto che occorra pur sempre dimostrare l’entità del danno subito sembrano rendere difficile per gli atleti presentare azioni collettive per l’uso non consentito dei loro dati personali. Ciò non esclude, considerata la delicatezza dei temi in discussione, che questa battuta di arresto sia da considerarsi tutt’altro che definitiva.

Ed infatti, con l’obiettivo di dare accesso ad una player-centric rights perspective, la FIFPRO World Players’ Union, in collaborazione con la FIFA ha adottato nel settembre 2022 la Charter of Player Data Rights[4], dove si prevede che “to allow for the integration of future technologies, all industry stakeholders must develop a common understanding of their joint interests and responsibilities in close collaboration with the players”. Nel documento – che non si allontana da una dimensione di soft law – si auspica l’implementazione di uno standard globale di tutela dei dati, al fine di garantire la privacy dei calciatori, al tempo stesso consentendo loro di controllare tutte le informazioni sulle loro prestazioni e sulla loro salute. In particolare, considerata l’insufficianeza del frame di cui al GDPR in tema di dati sportivi si fa menzione di una serie di diritti quali quello ad essere informato; di accesso; revoca del consenso; limitazione del trattamento; portabilità dei dati; di rettifica; di reclamo e di cancellazione. Vediamo cosa accadrà. Per il momento è solo soft law.

 

 

[1] È il Guiding system for visually impaired for running on a track, cfr., https://cordis.europa.eu/article/id/170254-advanced-guiding-technology-for-visually-impaired-athletes-to-run-alone che permette, attraverso un sofisticato wearable devise, al runner di percorrere l’anello di atletica.
[2] Cfr. Artificial intelligence, natural stupidity and other legal idiocies, in Media Laws, 2023.
[3] [2019] EWCA Civ 1599.
[4] Cfr., https://fifpro.org/en/supporting-players/competitions-innovation-and-growth/player-performance-data; A. Garlewicz, Athlete Biometric Data in Soccer: Athlete Protection or Athlete Exploitation?, cit., p. 27 ss. Sulla necessità di analisi che tengano conto degli interessi dei diversi stakeholders coinvolti nella gestione e sfruttamento economico dei dati sportivi, Xiaoyu Li & Xinyan Guo, Factors affecting the protection of data rights in sports events: a configurational analysis, in Nature Scientific Report, 2024, 2 ss.



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