Quell’anno non potremo mai dimenticarcelo. Parliamo del 1944, con Roma città aperta prima dell’arrivo degli Alleati e della sua liberazione, le rappresaglie nazi-fasciste sull’Appennino tosco-emiliano, autentiche stragi come Forno, Marzabotto, San Terenzo Monti e Sant’Anna di Stazzema e la sensazione collettiva di un tempo disperato, sospeso, assente. Era come se la vita ci sfuggisse ogni giorno. Ebbene, quell’anno fu drammatico anche per lo sport. Le squadre, per non vedere i loro campioni partire per il fronte, si legarono ad alcune industrie, tra cui la FIAT, che li assunse come impiegati, dando vita alla prima forma di sponsorizzazione. Incredibile ma vero, a Torino era il Toro a essere targato FIAT mentre sulla maglia della Juve c’era scritto Cisitalia, dal nome della fabbrica di automobili di proprietà dell’allora presidente bianconero Piero Dusio. In questo clima, anche il calcio, a un certo punto, fu posto di fronte al dilemma se fermarsi o meno. La Federazione, alla fine, scelse una soluzione di compromesso, l’unica possibile in quel contesto straziante. Si decise, dunque, di dar vita a dei gironi territoriali, suddivisi per zone: un ritorno a prima del girone unico che restituì prestigio a compagini che la decisione mussoliniana di creare un torneo nazionale, in grado di esaltare le città più importanti e di sfruttare un gioco divenuto presto popolarissimo come vettore di propaganda per il regime, aveva fatto cadere nell’oblio. Fra queste, figurava anche il Gruppo Sportivo 42° Corpo dei Vigili del Fuoco di La Spezia: una compagine di tutto rispetto, allenata da Ottavio Barbieri e capace di battere in finale addirittura il Grande Torino di Loik, Mazzola e Gabetto.
A nostro giudizio, pertanto, sbaglia la FIGC a non riconoscere del tutto quel titolo: è vero che si tratta di uno scudetto anomalo, ma non è certo colpa di quei ragazzi in maglietta bianca se l’Italia dell’epoca era divisa a metà dalla Linea Gotica, fra bombardamenti, rappresaglie e altri orrori indicibili. Quello scudetto i ragazzi di Barbieri lo hanno conquistato sul campo e come tale andrebbe riconosciuto, anche per rendere onore al merito di una compagine che non si arrese di fronte a nessuna avversità, superando nello scontro decisivo uno squadrone destinato a egemonizzare i campionati successivi. Basti pensare che ad annullare Mazzola provvide tal Tommaseo. Oggi tutti sanno chi sia stato capitan Valentino, quasi nessuno ricorda Tommaseo e anche questo è ingiusto. Pur non essendo certo dei campioni, infatti, gli spezzini furono artefici di un’impresa che, al contrario, andrebbe celebrata, proprio perché si tratta di un Davide che sconfisse Golia, di un trionfo dell’impossibile, di un lampo di gioia nel contesto buio della guerra.
Pochi, evidentemente, anche ai piani alti della nostra Federazione si rendono conto di cos’abbia rappresentato quel successo nella storia del calcio italiano. Non si tratta, difatti, della squadra in sé, tutt’altro che memorabile, ma dell’orgoglio, della dignità e della passione di un popolo in ginocchio che riuscì a trovare un momento di svago grazie a quella vittoria insperata e, proprio per questo, bellissima e degna di essere ricordata come una delle pagine epiche della nostra vicenda nazionale.
Allo stesso modo, sorprende e addolora che non sia stato dato il giusto risalto alla figura di Bruno Neri, il centrocampista partigiano che, durante l’inaugurazione dello stadio di Firenze, si rifiutò di eseguire il saluto romano verso la tribuna autorità e infine morì assassinato dai nazisti, il 10 luglio del ’44, a Marradi, nei pressi dell’eremo di Gamogna, nel corso della lotta per la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo. Il suo nome di battaglia era “Berni” ed è bene sottolineare che i suoi interessi andassero molto al di là dello sport, essendo appassionato di arte, di cultura e di poesia ed essendo entrato in contatto con gli ambienti anti-fascisti per via della sua profonda coscienza politica e civile.
Non stupisce, ahinoi, che in questa stagione il suo nome non sia stato celebrato a dovere, ma l’oblio ci ferisce e ci addolora, al punto che riteniamo nostro dovere infrangerlo.
La lapide posta presso la sua casa d’origine a Faenza recita:
Qui ebbe i natali
BRUNO NERI
comandante partigiano
caduto in combattimento
a Gamogna il 10 luglio 1944
dopo aver primeggiato come atleta
nelle sportive competizioni
rivelò nell’azione clandestina prima
nella guerra guerreggiata poi
magnifiche virtù di combattente e di guida
esempio e monito alle generazioni future.
Aveva appena trentatré anni quando cadde sull’Appennino tosco-romagnolo. Se ne andò da eroe, possiamo dirlo senza essere accusati di retorica, nell’estate delle stragi e degli orrori, di cui Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema costituiscono l’emblema.
Ottant’anni da allora, e il silenzio umiliante di oggi ci dice che non abbiamo saputo meritarci fino in fondo la grandezza di quell’eredità.
Immagine di copertina: Una formazione del 42º Corpo VVFF La Spezia nella stagione 1943-1944. Da sinistra, in piedi: Mario Tommaseo, Giovanni Costa, Paolo Rostagno, il comandante ing. Luigi Gandino, Eraldo Borrini, Renato Tori, Sergio Angelini; accosciati: Wando Persia, Carlo Scarpato, Carmelo Amenta, Sergio Bani, Bruno Gramaglia.
1944: l’anno nero dello sport e dell’Italia was last modified: Dicembre 13th, 2024 by
1944: l’anno nero dello sport e dell’Italia
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