Scriveva Henry Miller che «la propria destinazione non è mai un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose». La storia della bambina di 11 anni, arrivata da sola nel canale di Sicilia come unica sopravvissuta di un barcone di metallo con 45 persone, partito dalla Tunisia e affondato a causa di una tempesta, assurge — come sempre accade in questi casi — a elemento paradigmatico dei tanti, troppi ragazzi che non trovano nei propri luoghi stupore o serenità, ma cercano disperatamente un nuovo modo di vedere le cose: lontano dalla schiavitù, dalla tratta degli esseri umani, da un’esistenza privata di futuro. In quelle grida disperate, in quel giubbotto di salvataggio che ha permesso al veliero Trotamar III della Ong Compass Collective di soccorrere e salvare la bambina, c’è la desolante, drammatica fotografia di vite sospese, una beffarda scommessa con il destino, salvata solo da una barca passata per caso.
Nel 2023, secondo l’ottavo rapporto Il ritorno alle armi della Caritas, 11.649 bambini sono stati uccisi o mutilati nel mondo a causa delle guerre, con un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. In questo macabro bollettino contabile, il rapporto del Segretario Generale dell’Onu per i bambini e i conflitti armati (giugno 2024) ha registrato 32.990 gravi violazioni contro i bambini in 25 conflitti nazionali e nel conflitto regionale del bacino del Lago Ciad: il numero più alto mai documentato dal 2005, anno di inizio delle attività di monitoraggio. Le violazioni includono sei categorie: uccisioni e menomazioni; reclutamento e utilizzo dei minori in gruppi e forze armate; violenza sessuale; rapimenti; attacchi a scuole e ospedali; diniego dell’accesso umanitario.
In Ucraina, a partire da febbraio 2022, sono stati riportati 1.682 attacchi contro la salute dei minorenni, che hanno colpito operatori sanitari, forniture, strutture, magazzini e ambulanze. Inoltre, oltre 3.000 attacchi a strutture educative hanno lasciato circa 5,3 milioni di bambini ucraini senza un accesso sicuro all’istruzione. Numeri impietosi delineano una crisi senza precedenti: alla fine del 2023, il numero di persone costrette a lasciare le proprie case a causa di conflitti e persecuzioni ha superato i 117 milioni. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) prevede che questa cifra raggiungerà i 130 milioni entro la fine del 2024. Di queste persone, 68 milioni sono sfollati interni, mentre il resto cerca protezione oltre i confini nazionali.
La maggior parte dei rifugiati, circa il 69%, trova accoglienza in paesi confinanti, spesso con economie fragili e risorse limitate. Solo una piccola parte intraprende il lungo e rischioso viaggio verso l’Europa, che continua a offrire pochi canali di ingresso legali e sicuri. Nei primi nove mesi del 2024, gli ingressi irregolari in Europa sono stati appena 520.000, mentre le richieste di asilo nello stesso periodo hanno superato 1,5 milioni. Guerre, conflitti, violenze, crisi economiche e cambiamenti climatici sono fattori sempre più interdipendenti. Il rapporto sottolinea come non sia più possibile distinguere nettamente tra “migranti economici” e “rifugiati”, nonostante l’uso crescente di procedure accelerate e di frontiera per selezionare le richieste d’asilo. Nel 2023, i programmi di reinsediamento hanno offerto una soluzione concreta solo all’8% dei rifugiati bisognosi di un trasferimento sicuro. Questo dato evidenzia l’insufficienza delle risposte internazionali alla crescente domanda di protezione.
Sulla storia di Yasmine iniziano già le prime ricostruzioni: alcuni avanzano dubbi sulla presunta impossibilità di sopravvivere tre giorni in acqua durante una burrasca e sull’ipotermia che solitamente non perdona oltre le 12 ore. In mezzo a questi dubbi, una certezza rimane: vedere una bambina di 11 anni gridare alle 3 del mattino “Help” è un crimine di lesa umanità che non possiamo più accettare.
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