Olbia Due anni fa, la scomparsa di Rosa Bechere, la 60enne, invalida, svanita nel nulla dal suo appartamento, nelle case popolari di via Petta. Di lei si sono perse le tracce dal 25 novembre 2022, e nonostante uno sforzo d’indagine enorme e con un grande spiegamento di uomini e mezzi, non è stata mai rintracciata, né tantomeno recuperato il suo corpo. Il caso di Rosa Bechere ha varcato, oggi 12 dicembre, la soglia del tribunale di Tempio dove si è aperta l’udienza preliminare nei confronti di Maria Giovanna Meloni, 44 anni, di Olbia, e del suo compagno Giorgio Beccu, 51 anni di Berchidda, accusati di rapina, lesioni, indebito utilizzo di carte di credito e furto in abitazione, ai danni proprio di Rosa Bechere, di cui la coppia si è sempre professata amica. La Procura di Tempio ha chiesto per i due il rinvio a giudizio per questi reati, stralciati dal procedimento penale originario che li vedeva indagati con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere. Quello della Bechere, appunto.
Omicidio, nessuna prova Accuse pesantissime per le quali, ora, a due anni di distanza dalla scomparsa della donna e dopo un’intensa attività d’indagine, la Procura di Tempio chiede, invece, al gip, l’archiviazione. Non è emersa nessuna prova a carico dei due indagati: oltre a non essere stato trovato il corpo della donna, non sono emersi elementi di alcun tipo che possano supportare la tesi che la 60enne sia stata effettivamente assassinata, e che a compiere l’omicidio siano stati Maria Giovanna Meloni e Giorgio Beccu. Non sono stati acquisiti neppure elementi inconfutabili per dimostrare che i tre si siano incontrati l’ultimo giorno in cui la donna aveva dato notizie di sé. Nessuna prova, dunque, della responsabilità della sua morte e dell’occultamento del suo cadavere da parte dei due indagati “oltre ogni ragionevole dubbio”, prova necessaria, indispensabile, per sostenere l’accusa in un processo.
Le ricerche L’invalida scomparsa era stata cercata per mesi in lungo e in largo: era stato scandagliato il golfo di Olbia, i Cacciatori di Sardegna con le unità cinofile avevano setacciato le campagne di San Vittore, i carabinieri del Ris avevano cercato tracce utili ovunque (dall’abitazione al chiattino di Giorgio Beccu) per risolvere il giallo, e i due indagati erano messi sotto intercettazione ambientale e telefonica. Un’intensa attività investigativa da cui non sono emersi elementi schiaccianti per supportare l’ipotesi accusatoria. Ma sulla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura si annuncia battaglia. I familiari di Rosa Bechere stanno depositando in questi giorni opposizione attraverso i loro legali: l’avvocato Abele Cherchi, rappresenta il marito, Davide Iannelli (attualmente in carcere per l’omicidio di Toni Cozzolino), l’avvocato Edoardo Morette, difende due fratelli della Bechere, e l’avvocata Cristina Cherchi, una sorella. Sarà il gip del tribunale di Tempio a decidere sull’archiviazione.
Gli altri reati Intanto oggi 12 dicembre si è aperta l’udienza preliminare davanti al gup Alessandro Cossu per gli altri reati, comunque collegati a quello principale. Maria Giovanna Meloni (presente in aula) e Giorgio Beccu – difesi dagli avvocati Angelo Merlini e Giampaolo Murrighie – sono accusati di rapina perché con violenza si sarebbero impossessati delle carte BancoPosta e PostePay usate da Rosa Bechere per l’accredito del reddito di cittadinanza. Con violenza, perché la coppia, stando alle accuse, avrebbe reso la donna incapace di intendere e volere mediante la somministrazione a sua insaputa di farmaci a base di benzodiazepine, al punto da causare anche un ricovero in ospedale. Tutto questo per impossessarsi delle carte di credito e del denaro contante presente in casa. Per questo fatto, i due devono rispondere anche di lesioni personali aggravate. Inoltre, la coppia è anche accusata di aver utilizzato le carte sottratte alla Bechere per una serie di prelievi e di acquisti di vario genere fino all’esaurimento del fondo disponibile. Infine, di essersi introdotti clandestinamente nella casa di via Petta, aprendo la porta con una chiave di cui la stessa Meloni era in possesso. Questo per mettere le mani sulle carte di credito e anche sulle chiavi dell’auto della Bechere (una Chevrolet Matiz bianca), portata via dal parcheggio sotto casa. Reati che sarebbero stati commessi dal 18 al 28 novembre, quindi, tre giorni dopo la scomparsa di Rosa Bechere.
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