Quali sono le regole da tenere a mente per veicolare una corretta informazione sulla crisi climatica? E quali espedienti narrativi possono coinvolgere i cittadini su una questione tanto complessa quanto cruciale per il futuro di tutte e tutti noi? Sono alcuni dei temi al centro del corso per giornalisti che abbiamo organizzato lo scorso 31 ottobre.
Se Greenpeace Italia ha proposto un corso riservato ai professionisti dell’informazione è perché la crisi climatica fatica ancora a trovare uno spazio adeguato nel dibattito mediatico e politico in Italia, nonostante la sua gravità sia ormai globalmente riconosciuta e sotto gli occhi di tutti, con gli sconvolgimenti ambientali, sociali ed economici che ne derivano anche sul piano locale. Nel nostro Paese si parla quasi sempre e solo delle sue conseguenze più manifeste, parzialmente o genericamente delle sue cause, raramente dei soggetti che ne sono responsabili, che rimangono fuori dalla narrazione mainstream popolata da nuove forme di negazionismo climatico e argomentazioni di resistenza alla transizione energetica. Di contro, assistiamo a un continuo calo dell’attenzione al tema da parte dei principali TG e quotidiani, che parlano di crisi climatica soprattutto quando si verificano eventi meteorologici intensi o estremi, o durante l’annuale Conferenza delle Parti sul Clima delle Nazioni Unite.
Per questo, insieme all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, abbiamo voluto organizzare un corso dal titolo “Comunicare la crisi climatica: verso la COP29 di Baku: come fare un’informazione corretta prima, durante e dopo il vertice ONU”.
Siamo infatti convinti che il contrasto alla crisi climatica, a tutti i livelli, passi anche e soprattutto da una corretta e attenta informazione sul tema: è quanto da anni evidenziamo attraverso le nostre campagne di comunicazione, il lavoro di ricerca su media e clima realizzato in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia e, in ultimo, con la coalizione di testate Stampa libera per il clima.
I corsi per giornalisti rappresentano un nuovo tassello di questo filone di lavoro per noi strategico. Non solo per denunciare il problema di un’informazione inquinata da interessi di parte e sempre più dipendente dall’influenza delle aziende del fossile, ma anche per offrire strumenti concreti a chi vuole fare giornalismo sul clima in maniera chiara, completa e trasparente, accrescere la consapevolezza dei cittadini sulla crisi climatica in corso e sulle soluzioni più efficaci e già disponibili per poterla affrontare.
Qui di seguito, vi proponiamo alcuni estratti dell’appuntamento formativo, che ha coinvolto esperte ed esperti del mondo della scienza, del giornalismo e della comunicazione sui social, alcuni dei quali membri del network “Voci per il clima” promosso da Greenpeace Italia.
Diffondere “la cultura del rischio” scegliendo le parole giuste
Come inquadrare e comunicare in maniera chiara ed efficace la crisi climatica e le sue implicazioni? Secondo Serena Giacomin, fisica, meteorologa e direttrice scientifica di Italian Climate Network, è fondamentale scegliere le parole giuste per evitare errori nella comunicazione. Partendo da esempi recenti come le alluvioni che hanno colpito Valencia e altre realtà a noi vicine, Giacomin riflette sull’importanza di distinguere tra eventi intensi ed estremi, sul rapporto tra globale e locale e sulle differenze tra meteorologia e climatologia. Sottolineando l’importanza, per giornalisti e divulgatori scientifici, di utilizzare un linguaggio accurato nel diffondere una “cultura del rischio” che riconosca nelle previsioni meteo uno strumento chiave per accrescere la consapevolezza e la comprensione collettiva del fenomeno.
Raccontare la crisi climatica: regole e consigli pratici
Quali sono, dunque, le regole da tenere a mente per veicolare una corretta informazione sulla crisi climatica? E quali espedienti narrativi possono essere utili per coinvolgere il pubblico? Per Sara Moraca, giornalista e ricercatrice post-doc sui temi del cambiamento climatico e della salute infantile, bisogna farsi guidare dalla bussola del rigore scientifico e accompagnarlo a uno storytelling coinvolgente per creare empatia e connessione. Fondamentale, spiega, conoscere il proprio pubblico e le possibili barriere nella comprensione del cambiamento climatico, rendere umane e locali le storie, raccontare non solo il problema ma anche le soluzioni, e fornire un’inquadratura giornalistica responsabile, che eviti di dare spazio ai negazionisti e tenga conto anche dei gruppi più vulnerabili alla crisi climatica, ponendo al centro la questione della giustizia sociale.
I social “alleati” nella comunicazione sul clima
In questa partita cruciale per il futuro di tutte e tutti noi, entrano in gioco anche i canali social: come utilizzarli al meglio per diffondere i contenuti sulla crisi climatica? Andrea Grieco, consulente per la sostenibilità, attivista e divulgatore social, ha analizzato il ruolo sempre più centrale dei nuovi media nella comunicazione climatica e ambientale, evidenziandone le potenzialità come canali diretti e accessibili. Al contempo, sottolinea, è fondamentale che dietro la divulgazione via social ci sia un importante lavoro di approfondimento e che chi fa comunicazione sulla crisi climatica racconti anche le soluzioni possibili. Evitando narrazioni eccessivamente semplicistiche, non esaustive e pessimistiche che rischiano di generare un effetto “inazione” da parte del pubblico.
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