Calcolo pensione: a qualcuno mancano oltre 250 euro al mese, cosa succede a fine gennaio

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Conto e carta

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Sugli aumenti che i pensionati riceveranno a gennaio, tutto sembra chiaro. Dopo tredicesima, bonus e ratei maggiorati a dicembre, anche a gennaio i pensionati percepiranno una pensione più alta. Il calcolo della pensione, però, non sarà come negli ultimi anni.

A dire il vero, gli aumenti previsti per gennaio, come detto, sono ormai ben definiti, visto il decreto sulla perequazione già pubblicato in Gazzetta Ufficiale. La rivalutazione delle pensioni sarà molto meno ricca rispetto agli ultimi anni.

Tuttavia, il mese di gennaio diventa fondamentale per le pensioni e per il calcolo delle stesse per un altro motivo.

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E c’è molta attesa da parte di molti pensionati, soprattutto di chi nel 2024 ha perso cifre ingenti sul proprio assegno previdenziale. Perché c’è qualcuno che ha perso anche più di 250 euro al mese. E adesso potrebbe arrivare la notizia favorevole del recupero di queste perdite.

“Buonasera, sono un pensionato che percepisce un trattamento netto di circa 3.000 euro al mese. Volevo chiarimenti riguardo quella causa alla Corte Costituzionale che dovrebbe garantire degli arretrati sulle pensioni come la mia, profondamente tagliate lo scorso anno sulla rivalutazione. Avete novità al riguardo o sapete quando sarà emanata la sentenza della Corte Costituzionale?”

Calcolo pensione: a qualcuno mancano oltre 250 euro al mese, cosa succede a fine gennaio

Per il 2025 il governo ha deciso di cambiare la rivalutazione delle pensioni perché il meccanismo usato nel 2024 è cessato. Ed è proprio dal metodo della rivalutazione che nasce questa grande attesa, come ci dimostra il lettore del quesito sopra riportato. Non è la prima volta che un provvedimento di un governo finisce alla Corte Costituzionale, tacciato di essere contrario alla nostra carta dei diritti.

Capitò anche con la legge Fornero, quando tutti ricordano le lacrime dell’allora Ministro Elsa Fornero con quel famoso decreto Salva Italia che ha previsto sacrifici per pensionati e lavoratori con il blocco della perequazione.

All’epoca la questione finì con il provvedimento che fu bocciato dalla Consulta, con l’obbligo per il governo di risarcire coloro che avevano perso soldi sia sulle pensioni che sugli stipendi a causa del blocco dell’adeguamento all’inflazione. Fu varato il Bonus Poletti che, con un una tantum, rimborsò, anche se solo in parte, i penalizzati.

Adesso la questione rischia di ripetersi, anche se non si sa ancora in che modo e in che misura eventualmente i pensionati che hanno subito i tagli della pensione nel 2024 verranno rimborsati.

Nulla è ancora certo, anche se pare che sia prevista entro fine gennaio la seduta della Consulta che porterà al termine questa vicenda.

Ecco da dove parte la vicenda

Un ex direttore del comparto scuola ha prodotto ricorso contro il taglio della rivalutazione delle pensioni a partire da quelle oltre quattro volte il trattamento minimo. E questa storia è finita davanti alla Corte Costituzionale per una sua presunta incostituzionalità. Perché la Costituzione prevede che la retribuzione di un lavoratore sia parametrata alla qualità del lavoro che svolge e alla quantità dello stesso lavoro.

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In pratica, secondo i dettami della Costituzione, chi lavora di più o ha un ruolo importante, è giusto che prenda di più.

E se questo “di più” si tramuta in una pensione più alta, probabilmente il fatto che lo Stato penalizzi questi pensionati sulla perequazione potrebbe stridere dal punto di vista costituzionale. Ed è questo che di fatto è alla base del ricorso, perché a gennaio le pensioni si sono rivalutate, come logica vuole, al tasso di inflazione.

Che, secondo l’Istat, fu del 5,4%. Solo le pensioni fino a un certo limite si adeguarono in misura pari al tasso di inflazione. Quelle più alte si adeguarono con percentuali inferiori. In parole povere, la loro rivalutazione non ha coperto la perdita del potere d’acquisto che, secondo l’Istituto di Statistica, era pari al 5,4%.

Ecco il discusso meccanismo finito davanti alla Corte Costituzionale

La perequazione delle pensioni nel 2024 è stata effettuata dall’INPS con il seguente metodo previsto dalla manovra di Bilancio dello scorso anno:

  • 100% della rivalutazione per le pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo;
  • 85% per le pensioni sopra 4 e fino a 5 volte il trattamento minimo;
  • 54% per le pensioni sopra 5 e fino a 6 volte il trattamento minimo;
  • 47% per le pensioni sopra 6 e fino a 8 volte il trattamento minimo;
  • 37% per le pensioni sopra 8 e fino a 10 volte il trattamento minimo;
  • 22% per le pensioni più alte di 10 volte il trattamento minimo.

In parole povere, le pensioni sono state adeguate in maniera differente in base al loro importo, e considerando pari a 598,61 euro il trattamento minimo, con le seguenti percentuali:

  • 5,4% per le pensioni fino a 2.394,44 euro al mese;
  • 4,59% per le pensioni fino a 2.993,05 euro al mese;
  • 2,916% per le pensioni fino a 3.591,66 euro al mese;
  • 2,538% per le pensioni fino a 4.788,88 euro al mese;
  • 2,0% per le pensioni fino a 5.986,10 euro al mese;
  • 1,188% per le pensioni sopra 5.986,10 euro al mese.

Ecco cosa hanno perso i pensionati fascia per fascia, il calcolo della pensione non mente

Ricapitolando, solo i pensionati con trattamenti fino a quattro volte il minimo, cioè con pensioni fino a 2.394,44 euro al mese, hanno avuto il calcolo della pensione con la rivalutazione piena pari al 5,4%.

Per i pensionati con trattamenti da 2.500 euro, per esempio, che rientrano nella seconda fascia con perequazione all’85%, l’aumento pieno doveva essere di 135 euro al mese, e invece hanno percepito 114,75 euro. In pratica, 20,25 euro in meno al mese e quindi un taglio annuo di 243 euro.

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E sarebbe questo ciò che un pensionato di questo genere dovrebbe recuperare se la Consulta approverà il ricorso condannando il governo alla restituzione.

Un pensionato con trattamento da 3.500 euro al mese, che rientra nella terza fascia della perequazione, al posto del 5,4% di aumento ha ricevuto il 2,916%, cioè anziché 189 euro al mese di aumento ha percepito 102 euro.

Circa 87 euro al mese in meno per un taglio annuo di 1.044 euro.

Per un titolare di pensione da 4.500 euro, invece, l’aumento doveva essere di 243 euro al mese con rivalutazione al 5,4%, e invece è stato di 114 euro con rivalutazione al 2,538%, generando 129 euro di taglio mensile e 1.548 euro di perdita annuale.

Peggio è andata alle pensioni più alte, perché con 5.500 euro di trattamento, la rivalutazione anziché al 5,4% è stata al 1,998%, e da 297 euro l’aumento è sceso a circa 110 euro, con un taglio mensile di 187 euro e annuale di 2.244 euro. E per pensioni a partire da 6.000 euro al mese il taglio mensile dai 324 euro spettanti al 5,4% ai 71 euro ricevuti è stato di oltre 250 euro.

Quando arriverà la decisione della Consulta e cosa potrebbe accadere al calcolo della pensione

Alla luce di quanto detto prima, ecco quindi che l’attesa per la sentenza dei giudici costituzionali è molto alta. E, come detto in precedenza, dovrebbe essere a fine gennaio la seduta in cui si prenderà una decisione. Se la Corte Costituzionale darà contro al governo, ecco che quelle cifre perdute dai pensionati potrebbero essere da restituire.

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E in base alla decisione della Consulta si capirà se sarà imposto il recupero pieno o solo parziale, come successe con il già citato Bonus Poletti. O se stavolta la Consulta non condannerà lo Stato al risarcimento ma imporrà la rivalutazione per i mesi a seguire. Perché in effetti ciò che un pensionato ha perso ha strascichi anche negli anni successivi.

Perché la nuova rivalutazione che si utilizzerà a gennaio partirà da un importo della pensione inferiore, dal momento che gli aumenti del 2024 sono stati più bassi rispetto a quelli che eventualmente dovevano essere previsti.



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