l’eredità dell’architetto marchigiano e il Gruppo Marche

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Gli studi classici e l’amore per il territorio attorno alla natia Camerino avevano forgiato il senso estetico e l’interesse per il paesaggio di Paolo Castelli (1924-2016), architetto, urbanista, nonché pittore. Laureatosi in architettura a Roma nel 1947, dopo aver lavorato in studi professionali a Milano, agli inizi degli anni Cinquanta sentì forte il bisogno di “portare l’architettura moderna nelle Marche e battersi per la sua modernizzazione”.

A Macerata arrivò per un incarico di insegnamento, cui ben presto rinunciò per dedicarsi alla libera professione. Insieme ai primi progetti di case e opere pubbliche pensò di “progettare” una famiglia insieme a Lydia, giovane studentessa del fermano che in città frequentava la facoltà di giurisprudenza. Da allora per circa sessant’anni Paolo Castelli è stato uno dei più apprezzati architetti marchigiani, punto di riferimento per l’urbanistica nella regione, dove ha fondato la sezione di Italia Nostra e redatto strumenti di pianificazione per molti comuni. Innumerevoli i suoi progetti rimasti negli annali di architettura.

Nel centenario della nascita e ad otto anni dalla scomparsa, lo ricordano al Carlino i figli Paula, medico infettivologo, e Alessandro, anche lui architetto (come i suoi due figli, Enrico e Paolo), oggi alla guida del “Gruppo Marche“, associazione di professionisti nata da un’idea di suo padre alla fine degli anni ’60 ed oggi una realtà che opera in tutta Italia, con una trentina di persone di diverse professionalità e competenze.

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Architetto, si può affermare che il “Gruppo Marche” è stato il “progetto” più importante di suo padre?“Dal punto di vista dell’innovazione l’idea fu sicuramente la più rilevante per quel tempo nel settore dell’architettura in Italia. Gli architetti sono sempre stati molto individualisti, ma mio padre in quegli anni Sessanta capì che il futuro della professione non poteva prescindere dalle collaborazioni, soprattutto tra diverse specializzazioni. Il nucleo embrionale del progetto fu la comunione d’intenti tra mio padre e il suo amico e collega di San Severino Luigi Cristini. Entrambi riconoscevano nella loro attività una prevalente funzione sociale, tant’è che nello statuto fu scritto che il Gruppo Marche, “pur mettendosi a servizio del committente, non era disposto a seguirlo incondizionatamente e tanto meno a prevaricare la legge, il bene della collettività ed i valori della cultura””.

Posizione in linea – aggiunge Paula Castelli – con la filosofia di vita di nostro padre, che ci ricordava sempre l’impegno da lui preso a 18 anni con sé stesso: “cambiare il mondo un poco”, in meglio naturalmente”.

Dottoressa, com’era con voi figli?“Appariva burbero, ma non particolarmente severo. La sua era più che altro una “maschera” che nascondeva un animo buono, dolce, dotato di una forte sensibilità. Non era raro vederlo commuoversi mentre guardava un film sentimentale”.

Qual era il suo principale pregio e il suo maggiore difetto?Alessandro: “Diceva sempre ciò che pensava, su ogni cosa. Sicuramente un pregio, che alcune volte si è rivelato anche un difetto”.Paula: “Era architetto 24 ore su 24. Nei nostri viaggi il discorso finiva sempre su ciò che i paesaggi urbani o naturalistici gli trasmettevano. In casa di amici o parenti, dava pareri e consigli non richiesti anche sull’arredamento e la disposizione dei mobili”.

Qual era la sua principale preoccupazione nel progettare un’opera?Alessandro: “Che ogni scelta funzionale e formale fosse in armonia con l’ambiente circostante. A Macerata ne sono esempi la sua stessa casa alla Cimarella o il Monumento alla Resistenza di via Cioci, la chiesa di Santa Madre di Dio o quella di Casette Verdini. Detestava ogni stravolgimento paesaggistico e culturale. Per decenni ha criticato l’intervento sull’edificio di piazza Strambi cui si addossa la facciata del Vanvitelli della chiesa della Misericordia. Dieci anni fa se ne lamentò anche in una lettera che scrisse a Papa Francesco”.Paula: “Nella progettazione degli ospedali, tra cui quelli di San Severino e Macerata (ampliamento), si preoccupò di umanizzare l’ambiente ospedaliero con una certa armonia degli spazi e l’uso del colore nelle finiture”.

Nella sede del Gruppo Marche avete le pareti piene di acquerelli di vostro padre.“La pittura è stata una passione giovanile da lui ripresa nella tarda maturità, anche con diverse mostre a Macerata e altre città. Queste opere, insieme al suo primo tavolo da disegno, ci aiutano – sottolinea Alessandro Castelli – ad ispirarci nel lavoro di tutti i giorni”.



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