Marco Raduano & C., gli affari dell’ex boss di Vieste anche durante la latitanza

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Sette telefoni criptati per comunicare senza essere intercettati, acquisti in contanti di Rolex di lusso, furti mirati in Corsica per recuperare capi di abbigliamento da distribuire ai sodali, pacchi di droga spediti dalla Spagna verso l’Italia per rifornire le piazze dello spaccio a Vieste e Foggia, e persino atti intimidatori contro familiari di pentiti. Questi sono solo alcuni dei dettagli emersi dall’indagine “Cripto”, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Bari in collaborazione con i carabinieri del ROS, culminata nel blitz del 4 dicembre 2024 con l’arresto di sette persone legate al clan Raduano.

Le accuse sono gravi e spaziano dal favoreggiamento della latitanza dell’ex boss Marco Raduano, al traffico di droga aggravato dalla transnazionalità e dal metodo mafioso, fino all’incendio doloso di un’auto appartenente alla madre di un pentito. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state emesse dal giudice per le indagini preliminari Gabriella Pede, su richiesta del pubblico ministero Ettore Cardinali.

Marco Raduano, ex boss di spicco della criminalità organizzata viestana, era evaso dal carcere di Nuoro il 24 febbraio 2023. La fuga, durata quasi un anno, si è conclusa il 1° febbraio 2024 a Bastia, in Corsica, grazie a un’operazione coordinata tra autorità italiane e francesi. Durante il periodo di latitanza, Raduano non ha mai smesso di dirigere le attività del clan, che comprendevano estorsioni legate al racket della guardiania, traffico di droga e intimidazioni.

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L’indagine ha rivelato che la rete di fiancheggiatori del clan era attivamente impegnata a mantenere le attività criminali operative, anche in assenza del boss. I telefoni criptati garantivano comunicazioni sicure tra i membri, evitando intercettazioni che potessero compromettere i piani. La rete si estendeva anche oltre i confini italiani, sfruttando il commercio di stupefacenti per finanziare ulteriormente le attività illecite del gruppo.

Le operazioni del clan non si limitavano alla gestione di traffici illeciti: i fiancheggiatori si occupavano anche di acquisire beni di lusso, come Rolex, utilizzando pagamenti in contanti per riciclare denaro sporco. Inoltre, il clan ha mostrato un controllo spietato sul territorio, come dimostrato dall’incendio doloso dell’auto della madre di Orazio Coda, un ex affiliato diventato collaboratore di giustizia. Questo atto intimidatorio, avvenuto nell’ottobre 2023, evidenzia il tentativo del gruppo di mantenere il silenzio e la fedeltà tra i suoi membri, anche attraverso minacce e violenze contro i familiari dei dissidenti.

Non meno inquietanti sono gli episodi di spedizioni punitive a Vieste, tese a eliminare potenziali rivali o elementi considerati ostacoli per il controllo delle attività criminali. Le spedizioni non si limitavano a intimidire, ma si trasformavano spesso in attacchi letali.

Il traffico di droga rimaneva al centro delle attività del clan. Gli stupefacenti, principalmente hashish e marijuana, venivano trasportati dalla Spagna in Italia, destinati alle piazze di Vieste e Foggia. La transnazionalità del traffico è un elemento chiave dell’inchiesta, evidenziando l’ampiezza delle operazioni e la capacità del clan di gestire rotte internazionali.

Il legame tra droga e metodo mafioso emerge chiaramente dagli atti d’accusa: il traffico non era solo un’attività economica, ma anche uno strumento per consolidare il potere sul territorio, alimentando le casse del clan e garantendo un controllo capillare attraverso la rete di spacciatori.

Gli arresti eseguiti il 4 dicembre hanno colpito sette persone, tutte accusate a vario titolo di favoreggiamento della latitanza di Raduano, traffico di droga e atti intimidatori. Le indagini hanno evidenziato come i fiancheggiatori abbiano svolto un ruolo cruciale nel mantenere viva l’organizzazione durante il periodo di assenza del boss.

Il giudice Gabriella Pede ha sottolineato nelle motivazioni dell’arresto come la rete di supporto fosse strutturata e funzionale a proteggere l’operatività del clan, nonostante la cattura di Raduano in Corsica. Il pubblico ministero Ettore Cardinali ha definito l’indagine “un’operazione che ha permesso di colpire al cuore una delle organizzazioni criminali più pericolose del territorio garganico, riportando la legalità in un’area fortemente condizionata dalla presenza mafiosa”.

L’operazione “Cripto” rappresenta un nuovo capitolo nella lotta alla mafia garganica, una realtà criminale che da anni esercita un forte controllo sul territorio, minando la sicurezza e lo sviluppo delle comunità locali. La Dda di Bari, insieme ai carabinieri del ROS, ha dimostrato ancora una volta come la collaborazione tra autorità e l’uso di tecnologie avanzate possano sferrare colpi decisivi contro le organizzazioni mafiose.

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Mentre il clan Raduano subisce un duro colpo, resta alta l’attenzione delle autorità per evitare che nuove figure emergano per colmare il vuoto di potere lasciato dal boss e dalla sua rete di collaboratori. Tuttavia, l’indagine “Cripto” segna un passo importante per il contrasto alla criminalità organizzata, ribadendo la necessità di un impegno costante per liberare il territorio dalla morsa della mafia.

Lo riporta La Gazzetta del Mezzogiorno.it



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