Nei primi due anni di governo Meloni, segnala l’Ufficio studi della CGIA, l’occupazione in Italia è cresciuta complessivamente di 847mila unità (+3,6 per cento). Di questi nuovi posti di lavoro, 672mila sono lavoratori dipendenti e 175mila autonomi (vedi Tab. 1). Positivi anche i dati relativi alla regione più a est del Paese.
• Più occupati e meno disoccupati
Rispetto alla rilevazione eseguita a livello nazionale con dati Istat e misurata con una cadenza mensile, per analizzare l’andamento occupazionale avvenuto a livello regionale abbiamo invece preso i dati medi annuali forniti da Prometeia. Per l’anno 2022 e 2023, anche l’istituto di ricerca bolognese ha preso come riferimento le statistiche dell’Istat, per l’anno 2024, invece, ha realizzato una stima previsionale. Pertanto, i dati regionali di fonte Prometeia – sia sull’aumento dell’occupazione sia sulla diminuzione della disoccupazione – non corrispondono con quelli nazionali dell’Istat, sebbene confermino il trend registrato nella nostra elaborazione su dati Istat. Premesso ciò, in questi ultimi 24 mesi in Veneto gli occupati sono aumentati di 54.700 unità: pertanto, la platea di chi lavora ha raggiunto i 2,2 milioni di unità (+2,5 per cento) (vedi Tab. 2). I disoccupati, invece, sono diminuiti, come nella gran parte del resto del Paese. In Veneto il numero è decresciuto di 27.500 unità, perciò i senza lavoro sono scesi a 66.500 unità (-29,2 per cento) (vedi Tab. 3). Ovviamente, è sceso anche il tasso di disoccupazione che in Veneto si è attestato su un valore fisiologico del 2,9 per cento (vedi Tab. 3). Più in generale, comunque, tra il 2022 e il 2024 è la Sicilia la regione d’Italia ad aver registrato il numero più elevato di nuovi posti di lavoro pari a 133.600 (+10 per cento). Seguono la Lombardia con +125.700 (+2,8 per cento), la Campania con +89.900 (+5,5 per cento), il Lazio con +76.500 (+3,3 per cento) e il Piemonte con 71.600 (+4 per cento). Tra le quattro ripartizioni geografiche presenti in Italia, il Mezzogiorno – grazie al buon andamento delle esportazioni, delle costruzioni e degli investimenti pubblici correlati al Pnrr – presenta l’incremento occupazionale più importante d’Italia, con quasi 350mila addetti in più negli ultimi due anni.
• Preoccupa l’esplosione della CIG
Dall’analisi delle ore autorizzate di CIG, anche in Veneto negli ultimi due anni si è registrato un andamento altalenante che da sempre è legato alla stagionalità. Tuttavia, dall’autunno del 2023 il monte ore mensile risulta essere mediamente più elevato di quello registrato precedentemente. Dal mese di settembre del 2022, comunque, la punta massima è stata toccata a settembre di quest’anno (8,7 milioni di ore autorizzate). Un dato, stando alle crisi occupazionali scoppiate in queste ultime settimane, che è destinato a salire stabilmente anche nei mesi successivi, soprattutto a causa della crisi del settore della moda, dell’automotive e della meccanica (vedi Graf. 1).
• Alcune brevi riflessioni conclusive
In questi primi due anni di governo Meloni, i risultati ottenuti in materia di lavoro sono stati certamente positivi, anche se il merito è riconducibile più agli imprenditori che alla politica. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che con una crescita che in questi ultimi due anni è stata molto contenuta, all’aumento dell’occupazione non è corrisposto un incremento altrettanto importante della produttività, almeno nel settore dei servizi e del terziario. Pertanto, gli stipendi anche dei lavoratori del Veneto, che mediamente sono al di sotto della media europea, non crescono adeguatamente e questo rimane un problema che va “aggredito” rinnovando i contratti nazionali alla scadenza e continuando a tagliare strutturalmente il carico fiscale che grava sugli stessi. Ora, la forte caduta della produzione industriale e l’aumento del ricorso alla cassa integrazione non fanno presagire nulla di buono. Se non vogliamo scivolare verso una crisi strisciante che – a seguito delle tensioni geopolitiche, del calo demografico e della transizione digitale e climatica – avvolge la Germania e in parte anche la Francia, dobbiamo spendere bene e presto i soldi del Pnrr. Con la messa a terra entro il giugno 2026 dei 130 miliardi di euro che a livello nazionale abbiamo ancora a disposizione, possiamo dare un contributo importante all’ammodernamento anche del Nordest ed evitare una nuova crisi che, ai più, sembra essere alle porte.
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