Per rendersi conto di come (non) è cambiato il mondo tra il remoto 1982, quando approdò nelle edicole italiane La Gola, «mensile del cibo e delle tecniche di vita materiale», e questo 2024, che vede la nascita di un omonimo (e affine) trimestrale su carta e online, basta andare alla pagina 14 del primo numero di quarant’anni fa, occupata per intero dalla pubblicità del modernissimo personal computer Olivetti M20, di cui vale la pena riportare un brano: «Come trasformare i presentimenti in previsioni e le previsioni in decisioni trionfali; come collaborare meravigliosamente con sé stessi e allungarsi la vita e saperla veramente lunga e how to solve it e insomma come avere due menti invece di una».
Possibile, anzi probabile, che l’autore di quel testo, dove ironia e promozione avevano peso uguale, fosse Gianni Sassi, straordinario «inventore» della Gola e di tante altre imprese visionarie. Da allora, come scrive sul primo numero del nuovo trimestrale il direttore Fabio Gibellino, «sono cambiati i tempi e con essi i linguaggi», e tuttavia (o forse per questo), in un’epoca «dove le notizie, vere o false che siano, sono ingoiate senza nemmeno essere masticate e ancor meno assaporate», fa piacere salutare l’arrivo di un giornale che si propone di «raccontare cibi e bevande con occhi e prospettive diverse», facendo convergere – come nella vecchia Gola – «molteplici livelli di sapere».
A Alberto Capatti, che del mensile anni Ottanta è stato il direttore e del nuovo periodico è «vibrante contributore e prezioso consigliere», abbiamo rivolto alcune domande.
Nel suo corsivo per «La Gola» versione 2024 lei scrive, ricordando l’antico imperativo Mangia e taci, che «oggi il cibo parla ad alta voce, attraverso fotografie e filmati, e straparla a caratteri stampati, nei libri e nei computer» e che «il pensiero silenzioso è l’unico modo di farlo tacere; tanto più che il suo ultimo destino fisico e chimico è di scomparire nel nostro corpo». Tra il vocìo e il silenzio sono possibili delle vie di mezzo?
Il pensiero ovviamente è lingua, e la lingua voce e scrittura, ma il controllo di ogni sua manifestazione è critico e primario. Il silenzio è dunque un fondamento autocritico tanto più che il cibo viene, dopo la masticazione, silenziosamente assunto dal corpo. Tra il vocìo e il silenzio possiamo esplorare altre vie: osservare e disegnare, scrivere per sé e correggere continuamente ritornando a quell’io che non trapela nella comunicazione; infatti, si sono perduti i diari che un tempo restavano segreti. È silenzio? No, un dialogo con sé stessi da confrontare con altri dialoganti …
«Nelle librerie di ogni grande città, il settore Cucina è tra i meglio avviati», notava Marcel Detienne, nell’articolo« La coscienza gastrologica» che apriva il primo numero della vecchia Gola, e non sapeva cosa sarebbe venuto dopo. A cosa si deve la proliferazione dei libri di cucina? Solo colpa (o merito) della televisione?
Fra i libri di cucina sono anzitutto pubblicati dei ricettari. Le ricette affascinano per il loro valore normativo referenziale e sono i comandamenti di cui tutti straparlano, che per di più identificano persone, luoghi, comunità. Il loro successo è cresciuto con il moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione, paradossalmente con l’indebolimento del cucinare e la crescita delle industrie. Un raviolo oggi è Rana, in molte regioni, ma quanti lavori di pasta vengono pubblicati e quanti ravioli ritroviamo fotografati? Risparmiamo dunque le ricette ai lettori della Gola che non leggono per fingere di cucinare, ma vogliono orientarsi in una cucina trafficata in cui la ricetta si perde fra altri documenti.
Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di cucinare nei quarant’anni che separano la prima e la seconda «Gola»?
Dalla prima alla seconda Gola l’industria alimentare e i relativi supermercati hanno aggiornato e promosso il nostro modo di farci cucinare. È cresciuta inoltre una cultura poliglotta con un sushi diventato banale, e carne giapponese importata in Italia.
Tornando alla tivù (ma potremmo aggiungere YouTube, Instagram, TikTok), quanto conta la visualità nel «discorso» sul cibo? Non crede che abbia finito per prevalere, anche nella memoria, sui sensi in qualche modo deputati come l’olfatto e il gusto?
Spengo la tivù e stimolo la mia immaginazione che è un televisore intimo. Poi smetto di immaginare, mi spengo per degustare leggendo un libro. Ho fatto delle scelte, e lo chef Pappagallo è stato oscurato mentre io ho preso il posto del pappagallo che non ho mai visto leggere. Naso e bocca, olfatto e gusto dove sono?Scritti e stampati …
Un altro stralcio dalla vecchia «Gola», stavolta dal numero 3 (l’autore era Alessandro Fontana, l’articolo si intitolava Il rifiuto del cibo): «Sul gusto le società capitalistiche avanzate, già del benessere, ci stanno fabbricando un nuovo inconscio, nuove pulsioni e nuove credenze alimentari attraverso tutta un’orchestrazione diffusa di ‘discorsi’ sulla cucina… E in questo dispositivo, che chiamo la nuova pornografia, il discorso sulla cucina esercita sul piano culturale le indispensabili sintesi congiuntive». Che forma ha preso oggi quella «nuova pornografia»?
Alla pornografia gastronomica, alla pornografia vigente, oppongo idee nuove, che la storia mi insegna, partendo proprio dal godimento che ne è alla base e ripartirei proprio dalla cucina afrodisiaca che è cibo e amore. Del resto, guardiamo le foto dei piatti luminose e colorate come bellissimi corpi umani, fanciulle e fanciulli, vestiti di moda. Alessandro Fontana ha un occhio sagace cogliendo il nuovo inconscio, e la gastroanalisi relativa è tutta da scoprire. Consideriamola un obbiettivo non per curare i ghiottoni ma per riconoscere noi stessi.
Cito ora dal suo «Mangiapensieri. Lessico immaginario per il cibo» (Alfabeta Edizioni e DeriveApprodi 2017): «Eco, come bio, è un prefisso infestante». Si può parlare – e scrivere – di cucina, alimentazione, salute, senza cadere nel blablà (altra voce del suo lessico)?
Mi sottraggo al blablà eco-nomico e bio-grafico, sottoponendomi a esercizi inconsueti nella comunicazione, per esempio scrivendo poesie che mi affascinano e non pubblico, nelle quali eco e bio entrano in versi che comportano delle rime e degli anagrammi. Quanto alle etichette incollate sulle scatole dei prodotti, che spreco, che bionda usura, mi affascinano negativamente.
«La Gola» di Gianni Sassi esce nel 1982, la nascita della sua «sorella maggiore» «Alfabeta» risale a tre anni prima. Era l’epoca in cui prendeva forma quello che sarebbe stato etichettato come riflusso. È solo una coincidenza? E inversamente, riprendendo quanto scrive Fabio Gibellino, direttore della Gola 2024, ci sono spazi oggi «per fare politica a tavola»?
Nella nascente Gola mi ci portò la sorella di Mario Monti, docente di tedesco. Vi incontrai scrittori di Alfabeta venuti a difenderla, ed io vi persi la mia passione per il teatro e la letteratura, sottoposta alle strutture imperative universitarie, pur essendo docente di lingua francese a Scienze Politiche. La Gola era un vero tentativo di sottrarmi alla linguistica in aula per immergermi in un sapere ignorato dagli universitari, incontrando persone che fuggivano dalle didattiche di mestiere, amichevolmente accolte come ragionevoli testimoni di una nutrizione da scrivere e da rappresentare in modo nuovo. Quanto alla politica, e alla scienza politica, la intendo con il suo etimo greco polis, la città, non finalizzata e divorata dall’amministrazione, la città che si nutre e si regola, Milano per La Gola.
Un tempo la gola era uno dei sette peccati capitali, ora dal regno della morale si è passati a quello della salute. C’è differenza?
Ghiottoneria e salute sono sempre state conflittuali con interventi medici che hanno evoluto trattando la dieta. Il peccato capitale, la gola, è invece il privilegio di un passato cristiano e persino miscredente alla ricerca di una morale normativa in grado di gestire spirito e corpo insieme. Oggi invece, non trovando il cuore di un manzo in macelleria, dico: «Che peccato!» e lo dico quando vorrei preparare il «cuore di bue alla comunista» della Cuciniera maestra reggiana, offrendolo ai miei amici.
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