LE CITAZIONI: Platone, la politica, la giustizia e la pena

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Nel dialogo, Socrate è invitato da un amico a narrare il colloquio che ha avuto poco prima con Protagora sul tema se sia insegnabile l’arte della politica, e che essa sia insegnabile è provato dal fatto che si punisce chi ne difetta, mentre i difetti naturali, che non sono correggibili, non si puniscono. “Per Protagora, la giustizia è prospettiva: nelle sue parole si legge la prima, fortissima critica alla teoria retributiva, che a distanza di secoli si ritroverà in autori come Cesare Beccaria, autore del fondamentale testo “Dei delitti e delle pene, o il filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham… La pena ha una funzione di deterrenza specifica… in quanto evita che un criminale ripeta lo stesso delitto, sia generale, in quanto evita che altri commettano quel reato” (Eva Cantarella).

 

«(Gli uomini) cercarono di radunarsi e di salvarsi fondando città: ma ogni qualvolta si radunavano, si recavano offesa tra di loro, proprio perché mancanti dell’arte politica, onde nuovamente si disperdevano e morivano. Allora Zeus, temendo per la nostra specie, minacciata di andar tutta distrutta, inviò Ermes perché portasse agli uomini il pudore e la giustizia affinché servissero da ordinamento della città e da vincoli costituenti unità di amicizia. Chiede Ermes a Zeus in qual modo debba dare agli uomini il pudore e la giustizia: “Debbo distribuire giustizia e pudore come sono state distribuite le arti…”. “A tutti, rispose Zeus, e che tutti ne abbiano parte: le città non potrebbero esistere se solo pochi possedessero pudore e giustizia, come avviene per le altre arti. Istituisci, dunque, a nome mio una legge per la quale sia messo a morte come peste della città chi non sappia avere in sé pudore e giustizia”. E così, o Socrate, anche per questa ragione, gli Ateniesi e tutti gli altri, qualora (…) si accingano a deliberare su questioni relative alla capacità politica, che si impernia tutta sulla giustizia e sulla saggezza, è ragionevole che tutti vengano ammessi, poiché si ritiene necessario che ognuno sia partecipe di questa dote, o non esistano città. (…) Ciò che sto dicendo è, dunque, prova che giustamente si accetta il consiglio di ogni uomo su questa virtù politica, poiché si ritiene che ognuno ne partecipi; quanto poi al fatto che tale capacità, si pensa, non sia dovuta né a natura né al caso, ma in chi si viene formando sia frutto di insegnamento e di studio tenterò ora di dimostrarlo. (…) Quanto a quei beni, invece, che, si ritiene, l’uomo acquisisce con lo studio, l’esercizio, l’insegnamento, se qualcuno non li possegga, anzi abbia le contrarie qualità cattive, contro questi, senza dubbio nascono invece, gli sdegni, le punizioni, gli ammonimenti. Di tali mali, uno è l’ingiustizia, cui segue l’empietà e tutto ciò che, insomma, è contrario alla capacità politica; in questo caso, certo, ognuno si sdegna con gli altri e li ammonisce, evidentemente perché pensa che la capacità politica si possa acquisire con lo studio e l’apprendimento. Sì, o Socrate, perché se vuoi riflettere su quale mai significato abbia la punizione sui colpevoli, ti si dimostrerà da sé che gli uomini credono che la virtù si possa acquisire. Nessuno punisce i colpevoli tenendo presente il fatto che hanno commesso ingiustizia e per il fatto [b] che l’hanno commessa, chi, almeno, non voglia vendicarsi irrazionalmente come una bestia; chi, invece, si pone a punire, seguendo ragione, non pretende vendicarsi dell’avvenuto misfatto – non potrebbe certo far sì che non sia accaduto ciò che è stato – ma punisce pensando al futuro, sì che più non commetta la colpa, né lo stesso colpevole né chi lo vede punito. E se tale è il suo punto di vista, significa ch’egli è convinto che alla virtù ci si possa educare: punisce, dunque, per distogliere dalla colpa. Senza dubbio hanno tale opinione tutti coloro che puniscono sia in privato sia in nome dello stato, e puniscono e castigano chi essi ritengono colpevole, tutti, sia gli altri popoli, sia, e non meno degli altri, gli Ateniesi tuoi concittadini. Secondo questo ragionamento, dunque, anche gli Ateniesi sono tra coloro che ritengono la virtù acquisibile e insegnabile. Adeguatamente, o Socrate, ti è stato dimostrato, in conclusione, come almeno mi sembra, che non a torto i tuoi concittadini permettono che un fabbro, un calzolaio, chiunque si faccia parte diligente nelle deliberazioni politiche, e che non a torto ritengono che la virtù sia insegnabile e si possa acquisire.»

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Platone, Protagora, 322c-324d. (Trad. Francesco Adorno).





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