Aumenteranno gli stipendi a ministri, vice-ministri e sottosegretari non eletti, parificando le loro indennità a quella dei parlamentari, ma non hanno stanziato nella legge di bilancio i fondi necessari per recuperare l’inflazione cumulata negli ultimi anni nei prossimi rinnovi dei contratti nazionali. Questa disparità, simbolica ma significativa, è stata stabilita ieri quando i relatori di maggioranza alla manovra (Comaroli, D’Attis, Lucaselli, Romano) hanno depositato uno dei diciotto emendamenti in Commissione bilancio alla Camera.
NELLO STESSO EMENDAMENTO è stata inoltre inserita una norma «anti-Renzi» che colpisce, in maniera nemmeno troppo coperta, l’ex presidente del Consiglio e le sue ricche consulenze all’estero. Il testo stabilisce il divieto a ministri e a parlamentari di ricevere compensi da Stati esteri. E prevede di incassare 1,3 milioni di euro. Tanto dovrebbe valere l’obbligo di versare l’intero fatturato dei pagamenti ricevuti nelle casse dello Stato italiano. Non c’è dubbio che una simile norma alimenterà molte polemiche nel circolo mediatico-politico. Ieri ha iniziato il partito di Renzi, Italia Viva, che ha parlato di «esproprio ad personam, deriva sudamericana, vago sapore sovietico». E così via, a protezione del capo.
«MENTRE IL PAESE LOTTA per arrivare a fine mese, il governo decide di destinare risorse pubbliche all’aumento degli stipendi dei ministri – ha detto Ubaldo Pagano (Pd) – Una scelta che lascia increduli e appare ancora più grave alla luce di una manovra di bilancio che non investe in sanità, scuola, lavoro e casa». In realtà taglia 12 miliardi a ministeri e enti locali e inciderà sulla vita dei cittadini. «Hanno bocciato le nostre proposte per aumentare di 100 euro al mese le pensioni minime, per introdurre il salario minimo e per ripristinare il reddito di cittadinanza. Si vergognino» ha rincarato la dose Vittoria Baldino (Cinque Stelle).
ORAZIO SCHILLACI, il ministro della Sanità ieri a Atreju, è stato l’unico ministro – per ora – a parlare della penosa vicenda. Ha tenuto a dire che «non ho mai guardato al guadagno come la cosa più importante della vita. Sarà il parlamento a decidere». Schillaci che si è definito un «uomo fortunato» ha ragione: quello che conta è il potere che seleziona e eleva a una carica nei Campi Elisi.
LE POLEMICHE contro l’aumento degli stipendi dei ministri vanno spogliate dai toni populisti «anti-casta» e vanno contestualizzate rispetto agli altri emendamenti e ai contenuti della legge di bilancio. Ad esempio è spuntato ieri l’aumento dei pedaggi autostradali: +1,8% nel 2025, corrispondente all’indice di inflazione programmato. Peccato che non ci sia un recupero generale dei salari più bassi d’Europa da 30 anni. È un evidente tentativo di fare cassa e di rastrellare risorse da quel famoso «ceto medio» con il quale la maggioranza ama fare i gargarismi. Forse i 100 euro circa che sono stati confermati dalla fiscalizzazione del taglio del cuneo fiscale – per il quale il governo Meloni ha impegnato 10 miliardi sui 28 e più della manovra complessiva – serviranno per pagare a questo «ceto medio» per pagare un paio di viaggi in macchina su una tratta medio-lunga. L’ipocrisia di misure inconsistenti, e costosissime per i contribuenti, si vede nella concretezza della vita quotidiana.
UN’ALTRA MISURA è stata presentata con enfasi: la flat tax al 5% sugli straordinari degli infermieri e i 500 euro mensili per gli specializzandi non medici. Nella miseria dei salari italiani, bloccati da 30 anni, non è male in fondo. Ma il problema della carenza del personale, e dunque delle nuove assunzioni, non è certamente risolto. Ed è questo il fattore che pesa di più in un mondo stremato come quello della Sanità. I soldi però non ci sono.
TRA I RITOCCHI dell’ultim’ora va ricordato che alle forze dell’ordine, ma anche agli enti locali, sarà risparmiato il blocco del turn-over almeno per il prossimo anno. «È una buona notizia – ha commentato la sindaca di Firenze Sara Funaro – Ma il problema è che restano i tagli agli enti locali. Solo Firenze perderà 6 milioni nel 2025, 7 milioni nel 2026 e 7 milioni nel 2028». Il che significa che peggioreranno i servizi e non ci saranno assunzioni. Chi paga i tagli sono i cittadini. Questo è il senso politico della terza manovra del governo Meloni. «I tagli alla spesa corrente dei comuni rischiano di vanificare gli investimenti del Pnrr – ha ricordato Giorgio Possamai, sindaco di Vicenza nella campagna “Pagano i cittadini!” – Dovremo ridurre i servizi o aumentare le tasse».
CASA E MOROSITÀ incolpevole: ecco gli altri assenti nella manovra. Non c’è alcuna intenzione di affrontare un’emergenza sociale, tanto meno quella degli affitti brevi. Lo hanno denunciato ieri Daniela Barbaresi (Cgil) e Stefano Chiappelli del Sunia. Anche la Corte dei Conti ha riconosciuto come la scarsità degli immobili in locazione, e l’aumento degli affitti per di più in presenza di bassi salari, è un problema. Ma ciò che conta in Italia è la rendita.
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