Legge Costa richiama Articolo 27, non può mai essere incostituzionale

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Lunedì scorso il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo nato dall’emendamento del collega e deputato Enrico Costa. Secondo quanto ribadito dal governo, tali interventi sono giustificati per garantire il diritto al rispetto della vita privata, il rispetto della riservatezza della corrispondenza delle comunicazioni e la presunzione d’innocenza. Non arrecherebbero alcun pregiudizio né alla libertà di stampa né alla libertà d’informazione, poiché il divieto di pubblicazione sarebbe limitato, nel tempo, alla fase delle indagini preliminari e non impedirebbe in ogni caso ai giornalisti di parafrasare o riassumere il contenuto delle ordinanze di custodia cautelare. I portatori di interesse, riferisce sempre la relazione, hanno espresso preoccupazione in merito alle misure previste dall’emendamento Costa che potrebbero creare un effetto dissuasivo per i giornalisti, esponendoli a un rischio maggiore di eventuali querele per diffamazione in caso di sintesi o riformulazioni errate delle ordinanze di custodia cautelare.

Preoccupazioni sterili, a parere di chi scrive, considerato per esempio che le intercettazioni spesso richiamate, seppure relativamente ai brani essenziali, nelle ordinanze sono state oggetto di un progressivo mutamento ontologico: da mezzo (ausiliario) di ricerca della prova a vero e proprio mezzo di prova. Sono state anche impiegate per un numero sempre più vertiginoso di fattispecie di reati: l’emendamento Costa, come già ribadito, si poneva – fin dal suo inserimento nella legge delega appena attuata dall’Esecutivo – come l’inevitabile “toppa”, piuttosto che come il “bavaglio”, per la tutela dei soggetti sottoposti a indagine, nonché per la tutela di soggetti del tutto estranei alle stesse, i quali, di colpo, vedono comparire del tutto sine titulo il loro nome o quello di familiari sui quotidiani.

In virtù dell’emendamento alla legge di delegazione europea 2022- 2023, il governo era dunque tenuto a osservare ( articolo 4, paragrafo 3 di quella legge, la 15 del 2024) un principio e criterio direttivo specifico, ovvero l’adozione di misure volte a vietare la pubblicazione, integrale o per estratto, del testo delle ordinanze di custodia cautelare fino al termine delle indagini preliminari. Tale delega, com’è noto, è stata esercitata dal governo, che il 9 settembre 2024 aveva trasmesso alle Camere uno schema di decreto legislativo su cui sono stati espressi i relativi pareri dalle commissioni competenti.

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Lo schema di decreto si componeva di 3 articoli ed era volto a garantire una più precisa e completa conformità del nostro ordinamento alla direttiva Ue 343 del 2016. In particolare, il provvedimento modificava il regime di pubblicazione degli atti del procedimento penale, introducendo il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

Segnatamente l’articolo 2 dello schema di decreto introduceva modifiche all’articolo 114 del codice di procedura penale, secondo cui è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto (comma 1). Lo stesso articolo 114 vietava la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, con l’eccezione, rimossa dal decreto legislativo di lunedì scorso, per l’ordinanza applicativa di misure cautelari personali di cui all’articolo 292 c. p. p..

La materia giuridica in oggetto è estremamente articolata. L’emendamento Costa si prefigge anche di rispettare disposizioni internazionali come la Cedu o il Patto Onu sui diritti civili e politici del 1966, ratificato in Italia con legge 881 del 1977. Ma la maggior parte degli opinionisti ( magistrati, giornalisti e politici) tende, purtroppo, quasi sempre a dimenticarsi di queste norme da anni in vigore nel nostro Paese.

E infine. Come si può sostenere che le modificazioni possano essere dichiarate incostituzionali quando questa norma si prefigge la finalità non solo di assicurare l’effettivo rispetto dell’articolo 27, secondo comma, della Costituzione ma anche quello di rispettare alla lettera l’articolo 21 sempre della Costituzione, cioè la libertà di stampa e il diritto dei cittadini a essere correttamente e compiutamente informati (come è richiamato anche nell’articolo 4 del Testo unico sulla radiotelevisione approvato con il decreto legislativo 208 del 2021) e di attuare i princìpi e i diritti sanciti dal successivo articolo 24 della nostra Carta?



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