«Difendiamo il fiume europeo più puro»

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Un fiume libero di espandersi in vasti letti di ghiaia, modificando il suo percorso a ogni piena, di scorrere limpido tra gole e rapide attraverso montagne innevate o nelle dolci campagne albanesi. È la Vjosa (Voiussa nell’ormai desueto nome italiano), il corso d’acqua più integro d’Europa e per questo dichiarato, nel 2023, primo parco nazionale fluviale nel continente. Nei suoi 280 chilometri tra Grecia e (soprattutto) Albania, non incontra quasi mai sbarramenti, ospita habitat preziosi e specie endemiche, rappresenta un’insostituibile fonte d’acqua e offre scenari di struggente bellezza.

Il team trentino
Da qualche anno, inoltre, è diventato una risorsa preziosa per regioni storicamente povere, offrendo opportunità diversificate, dal rafting al turismo naturalistico. Un successo raggiunto grazie ad anni di lotte ambientali, ma anche all’impegno della comunità scientifica che, con una grande mole di studi, ha contribuito a dimostrare l’importanza di questo bene e la necessità di tutelarlo. Tra i protagonisti di questo sforzo accademico internazionale c’è il Dicam (Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e meccanica) dell’Università di Trento: i suoi ricercatori e i suoi studenti, sotto la guida del professore Guido Zolezzi, fanno la spola da oltre 10 anni con il paese delle aquile, non solo analizzando il corso d’acqua e i suoi affluenti, ma anche intrecciando legami accademici e istituzionali, e partecipando a progetti di cooperazione per favorirne la salvaguardia. «Nella convinzione — spiegano — che conoscere il più libero dei fiumi possa insegnarci a gestire meglio anche i nostri, molto più compromessi».

L’impegno di Unitrento
«La Vjosa è un grande fiume naturale: colpiscono l’abbinamento fra le sue grandi dimensioni, il suo carattere libero da effetti antropici e i pochissimi dati disponibili per salvaguardarlo — spiega Zolezzi — Studiarlo è importante perché si può capire come i fiumi intrinsecamente “funzionano”, e per sviluppare quella base di dati e conoscenze indispensabile a decidere come, quando e se intervenire nella loro gestione».
Marta Crivellaro, ricercatrice in morfodinamica fluviale, ha dedicato il dottorato al fiume albanese e alla cooperazione. «Siamo in Albania dal 2013 — racconta — mentre il nostro primo studio specifico sulla Vjosa risale al 2019. Tra il 2020 e il 2023 siamo stati coinvolti in NaturAlbania, un progetto di cooperazione finanziato da Aics (Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo). Abbiamo utilizzato diversi approcci pilota di monitoraggio, installato una stazione idrometrica e collaborato alla redazione di linee guida per la sua gestione e conservazione. Collaboriamo con il Politecnico di Tirana e, fino al 2028, saremo partner del progetto EU4 Nature, con cui Aics e Undp (il programma dellOnu per lo sviluppo) si impegnano a ulteriori misure di protezione della biodiversità».

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Benefici e minacce
«Un fiume in salute fornisce molti benefici, o servizi ecosistemici, dall’approvvigionamento idrico alla laminazione delle piene, senza dimenticare il valore ricreativo e culturale», spiega la ricercatrice Crivellaro.
A volte questi benefici hanno volti molto concreti. Come la compagnia Rafting Vjosa Explorer, che l’istruttrice Irma Tako gestisce, quasi da sola, nella zona di Përmet. Oltre a portare occupazione, attività come questa mettono in contatto i fruitori di un turismo sostenibile con i pescatori, i produttori di specialità locali (molte delle quali presidi Slowfood) e una rete di accoglienza spesso a carattere familiare. Realtà virtuose ma sempre in bilico, in un paese ormai votato al turismo di massa con una regolamentazione ancora scarsa.
Le minacce si concretizzano in un aeroporto in via di realizzazione vicino al delta, nella laguna di Narta, nel prelievo di acqua potabile in favore dei resort della costa, un problema di spazzatura, il rischio costante di speculazione edilizia, e – spiegano gli studiosi dell’Università di Trento – una perenne carenza nel monitoraggio ambientale.

Fiumi in evoluzione
La Vjosa offre l’opportunità di analizzare l’evoluzione dei corsi d’acqua: «Studiarla ci consente di capire, tra le altre cose, come gli ecosistemi fluviali rispondono alle oscillazioni climatiche, questione oggi quanto mai urgente», aggiunge Crivellaro.
Nel bacino del fiume albanese – che negli ultimi 60 anni ha visto prima intense piene, soprattutto fra il 1960 e il 1970, e poi il prevalere di periodi di siccità – la risposta del fiume è stata un progressivo restringimento. «Negli ultimi anni questa tendenza è diminuita ma si è osservato che in pianura l’effetto delle pressioni umane si è aggravato».



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