cosa è cambiato con il PNRR

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Negli ultimi anni, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è diventato uno strumento fondamentale per il rilancio economico del nostro Paese, attraverso investimenti in ambiti strategici che mirano a favorire uno sviluppo sempre più digitale e sostenibile.

Uno dei principali settori su cui si è scelto di investire è quello dell’istruzione e della ricerca, con l’obiettivo ambizioso di trasformare l’Italia in un’economia della conoscenza, capace di essere competitiva e resiliente. Questo impegno deriva dalla consapevolezza delle sfide e delle criticità altamente presenti nel sistema educativo, formativo e di ricerca di oggi. È da tale necessità che nasce la Mission 4 del PNRR, composta da due componenti: la prima dedicata a potenziare l’offerta educativa (componente 1), la seconda a rafforzare il comparto ricerca (componente 2).

In particolare, la componente 2 rappresenta oggi uno dei temi centrali quando si parla di innovazione e di investimenti nelle risorse umane ed economiche. L’avanzamento della M4C2 offre segnali incoraggianti, mostrando un rigoroso rispetto delle scadenze, tra target e milestone: dalla distribuzione dei PRIN (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale) nel febbraio 2022, fino alla pubblicazione del bando per il secondo ciclo di dottorati nel dicembre 2023. Oggi, assumono grande rilievo anche i bandi a cascata, articolati in due filoni: il primo mirato al reclutamento di ricercatori e tecnologi, e il secondo finalizzato a finanziare enti esterni per attività di ricerca.

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Sono già stati lanciati 130 bandi a cascata, che attivano risorse per circa 300 milioni di euro, mentre altri 431 milioni saranno messi a disposizione entro breve. Con un totale di 725 milioni destinati alla ricerca e all’innovazione, il settore accademico e scientifico italiano si trova di fronte a un dispiegamento di risorse mai visto prima, puntando ad incrementare il panorama della ricerca in Italia.

Investimenti strategici della Componente 2

Grazie allo stanziamento complessivo di 11,44 miliardi di euro per la Componente 2, si è cercato di dare un ampio respiro all’ambito di ricerca e sviluppo, promuovendo l’innovazione, la diffusione delle tecnologie e il rafforzamento delle competenze. Nello specifico i fondi servono per finanziare 12 misure, di cui 11 investimenti e una riforma strutturale, tutte finalizzate a supportare la mobilità di figure di alto profilo (ricercatori e manager) tra Università, infrastrutture di ricerca e aziende, e a semplificare l’accesso ai fondi per la ricerca.

Gli investimenti più rilevanti della M4C2 si distinguono per il coinvolgimento delle realtà territoriali attraverso partenariati pubblico-privati. Tre sono gli obiettivi fondamentali che questi interventi mirano a raggiungere:

  • rafforzare la ricerca e promuovere modelli innovativi attraverso la collaborazione tra università e imprese;
  • sostenere l’innovazione e il trasferimento tecnologico;
  • potenziare le infrastrutture di ricerca e le competenze necessarie per supportare l’innovazione.

Per concretizzare questi obiettivi, sono stati previsti tre investimenti chiave: l’Investimento 1.3 dei “Partenariati estesi”; l’Investimento 1.4, focalizzato sui “Centri nazionali”; l’Investimento 1.5, dedicato agli “Ecosistemi dell’innovazione”. Tutti  progetti pensati per creare un sistema di ricerca in grado di valorizzare il potenziale italiano, sia sul piano nazionale che internazionale.

I progetti sono orientati a obiettivi di “transizione” in diversi settori strategici, come il digitale, il sociale, la salute, l’economia, la mobilità, l’ecologia e l’alimentazione. Questo approccio risponde alle priorità delineate dal PNRR e alle linee guida della Commissione Europea. Un aspetto distintivo dei progetti è il loro Technology Readiness Level (TRL)[1], che misura il grado di maturità tecnologica associato. Nella valutazione degli investimenti in questione, il livello di maturità atteso è stato suddiviso in quattro macro-classi: alto, medio, basso e non predefinito. E sono così distribuiti:

  • Centri Nazionali (1.4): valore “medio”;
  • Partenariati estesi (1.3): valore “basso”;
  • Ecosistemi dell’Innovazione: “non predefinito”. Per quest’ultimo, ipotizziamo che il valore “non predefinito” dipenda dall’eterogeneità delle iniziative. 

Tutti i progetti condividono una struttura operativa Hub&spoke, con tre attori chiave: il proponente (sempre un’università o un ente di ricerca), l’Hub (una fondazione  o un consorzio, entrambi impegnati in attività di ricerca) e gli spoke, una rete di centri che svolgono attività di ricerca sul campo.

Infine, è utile segnalare l’investimento 3.1, dedicato alla creazione di un sistema integrato di infrastrutture per la ricerca e l’innovazione. Questo investimento, strettamente correlato agli altri tre, si concentra sul finanziamento della costruzione e modernizzazione delle infrastrutture necessarie, ed è suddiviso in sub-investimenti per le infrastrutture di ricerca e le infrastrutture tecnologiche di innovazione, entrambe con TRL “non predefinito”.

Per tutti gli investimenti fin qui citati, le iniziative proposte avranno una durata stimata di tre anni, con possibilità di estensione fino al 2026 per il completamento delle attività.

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Gli investimenti della M4C2 in dettaglio

Investimento 1.3: Partenariati estesi

Entrando nel vivo dei progetti, l’investimento 1.3 “Partenariati estesi a Università, centri di ricerca, imprese e finanziamento progetti di ricerca” mira a promuovere cambiamenti significativi attraverso la valorizzazione della ricerca, coinvolgendo attivamente portatori di interesse e cittadini per favorire il trasferimento di tecnologie e conoscenze verso i territori, le imprese e le amministrazioni.

Il programma prevede il finanziamento di un numero compreso tra 10 e un massimo di 14 progetti di ricerca fondamentale e applicata, adottando un approccio interdisciplinare orientato al problem solving. Questi progetti sono realizzati in collaborazione tra università, enti pubblici di ricerca (EPR) e soggetti pubblico-privati riconosciuti a livello internazionale. L’obiettivo è contribuire a rafforzare la ricerca in Italia, allineandosi alle tematiche del PNRR e ai cluster di Horizon Europe. L’investimento prevede inoltre delle linee guida generali e propone una serie di temi principali su cui possono incentrarsi i progetti proposti, come ad esempio intelligenza artificiale, energia, ambiente, patrimonio culturale, telecomunicazioni, cybersicurezza e molti altri.

La titolarità dell’investimento è affidata al Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), che coordina l’attuazione delle iniziative insieme al soggetto proponente, al soggetto attuatore e al soggetto realizzatore. Il proponente, generalmente un’università o un ente di ricerca pubblico, presenta la proposta progettuale, mentre gli Hub, organizzati come consorzi pubblico-privati, gestiscono il coordinamento e la rendicontazione. Gli Spoke, infine, rappresentano una rete di centri locali in cui si svolgono concretamente le attività di ricerca.

Le risorse finanziarie destinate a questo investimento ammontano a 1,61 miliardi di euro, con una durata prevista dal 2022 al 2026 e un totale di 14 progetti finanziati.

Investimento 1.4: Centri nazionali di ricerca (CN)

L’investimento 1.4 è invece finalizzato al potenziamento delle strutture di ricerca e alla creazione di “campioni nazionali” di ricerca e sviluppo (R&S) su tecnologie abilitanti chiave (Key Enabling Technologies – KET[2]). Questo prevede la realizzazione di cinque Centri Nazionali di ricerca (CN) che mirano a sviluppare un alto livello di capacità di innovazione in ambiti strategici, tra cui: simulazioni, calcolo e analisi dei dati ad alte prestazioni; tecnologie dell’agricoltura (Agritech); sviluppo di terapie genetiche e farmaci basati sulla tecnologia a RNA; mobilità sostenibile; biodiversità.

L’obiettivo principale dei Centri Nazionali è il rinnovamento e la creazione di infrastrutture e laboratori di ricerca all’avanguardia. I centri non si occuperanno solo di sviluppare programmi e attività di ricerca ma favoriranno la nascita di iniziative imprenditoriali ad alto contenuto tecnologico, come start-up e spin-off, destinando almeno il 40% delle risorse al Mezzogiorno. Sono stati stanziati in totale 1,61 miliardi di euro con una durata massima dei progetti fissata a tre anni, con possibilità di estensione fino al 28 febbraio 2026.

Proprio come i partenariati estesi, i CN si compongono di soggetto proponente, attuatore e realizzatore. I proponenti dei progetti possono essere esclusivamente università statali ed enti pubblici di ricerca vigilati dal MUR e ogni proposta deve riguardare uno dei cinque ambiti di ricerca stabilità. Gli Hub, che fungono da soggetti attuatori, possono includere anche università non statali e altri enti qualificati, mentre gli Spoke rappresentano le strutture operative dove si svolgono le attività di ricerca.

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Investimento 1.5: Ecosistemi dell’innovazione

Gli Ecosistemi dell’Innovazione per la sostenibilità, protagonisti dell’investimento 1.5, si fondano su reti diffuse che uniscono università, enti pubblici di ricerca, istituzioni locali e attori privati, al fine di stimolare il trasferimento tecnologico e supportare la sostenibilità economica e ambientale dei territori coinvolti. Le risorse destinate, che ammontano a 1,3 miliardi di euro, finanziano 12 progetti (di cui 5 nel Mezzogiorno) in cui sviluppare attività di ricerca applicata, programmi di formazione per allineare le competenze delle università con le esigenze del mercato del lavoro, e supportare la nascita e lo sviluppo di start -up e spin-off.

A differenza dei Partenariati estesi (Investimento 1.3), gli Ecosistemi dell’Innovazione non impongono tematiche predefinite ma si concentrano sulla realizzazione di progetti funzionali al proprio territorio, mantenendo un particolare focus sulle esigenze del Mezzogiorno. Nonostante la mancanza di temi specifici, i progetti, per essere considerati idonei, dovranno rispettare dei criteri tra cui la definizione di un ambito scientifico chiaro, la comprovata capacità di innovazione, il coinvolgimento di PMI e la valorizzazione delle iniziative esistenti nel territorio. A ciò si aggiunge l’inclusione di enti e istituzioni locali di tipo scientifico e culturale, come musei, parchi archeologici e teatri.

Altra differenza riguarda il TRL (livello di maturità tecnologica) che per gli ecosistemi si attesta sul “non predefinito” mentre per i partenariati (investimento 1.3) è identificato come “basso”. Sono solo i Centri nazionali (investimento 1.4) ad avere un TRL medio e di conseguenza presentano progetti con una maturità tecnologica più alta rispetto agli altri due investimenti in oggetto.

L’iniziativa è sempre di titolarità del MUR che lavora in sinergia con soggetto proponente, attuatore e realizzatore. In questo contesto, le università e gli enti pubblici di ricerca fungono da soggetto proponente e presentano progetti che saranno implementati dagli Hub e Spoke (entrambi con le medesime funzioni degli investimenti precedenti), con il coinvolgimento attivo di enti locali e attori privati che potranno partecipare ​​fin dalla fase di costituzione degli ecosistemi.

L’investimento prevede una risorsa finanziaria di 1,30 miliardi di euro, da sfruttare nell’arco di 3 anni, dal 2022 al 2026 massimo. Grazie ai suoi 11 progetti finanziati, questa misura rappresenta un’opportunità per rilanciare la ricerca e l’innovazione in Italia, promuovendo un modello di sviluppo sostenibile, soprattutto per il Mezzogiorno.

Partecipazione nei tre investimenti: trend generali

I tre investimenti fin qui approfonditi cubano complessivamente 432 progetti, con una maggioranza di soggetti di natura privata, pari a 290, seguiti dai soggetti pubblici, pari a 142. Dei soggetti in questione si possono identificare tre categorie principali: imprese (esclusivamente private), organismi di ricerca (pubblici o privati) e università (esclusivamente pubbliche). Delle 432 entità coinvolte, 100 sono imprese, 118 sono organismi di ricerca e 214 sono università pubbliche. Un dato significativo è che 321 soggetti sono presenti con un solo progetto nei tre investimenti, mentre 111 sono coinvolti in più di un progetto, segnalando una buona rete di collaborazione.

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È stato inoltre possibile individuare i 10 soggetti con più alto numero di progetti in comune e tra questi, in vetta alla classifica, vi è il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) che figura come il soggetto principale degli investimenti (Fig.3). È anche interessante notare la distribuzione territoriale della partecipazione: le università pubbliche si attestano ai vertici della classifica con l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna al secondo posto, l’Università di Roma La Sapienza al terzo e l’Università di Napoli Federico II che si colloca al quarto posto con la sua partecipazione a quattro centri nazionali e undici partenariati estesi.

Le prospettive post-PNRR

Con la conclusione del PNRR al 30 giugno 2026, sono cocenti le discussioni su cosa accadrà dopo la fine dei finanziamenti. Un recente confronto, intitolato “Ricerca e trasferimento tecnologico nel PNRR: percorsi avviati e risultati attesi”, organizzato a gennaio da FPA, con la partecipazione di aziende come DELL, Intel e VMware, ha messo in luce alcuni temi cruciali:

  • la sostenibilità a lungo termine delle nuove strutture nate con e dal PNRR. In particolare, i centri nazionali, gli ecosistemi e le infrastrutture di ricerca, dovranno sviluppare strategie per garantirne la sopravvivenza anche dopo la conclusione del piano. È essenziale sviluppare modalità di finanziamento che permettano a queste entità di continuare a operare e generare opportunità per la ricerca.
  • la valorizzazione del capitale umano coinvolto nelle iniziative di sistema. Attualmente, circa 21.300 ricercatori sono attivi in ​​questi progetti, di cui 5.800 sono stati assunti specificamente per realizzarli. Tuttavia, gran parte di questo personale è inquadrato con contratti a tempo determinato e serve creare opportunità per stabilizzare queste risorse umane e massimizzare il know-how accumulato.
  • Altri temi, i cui spunti saranno condivisi la prossima settimana, sono emersi da un recente confronto intitolato “Ricerca e innovazione: la sfida italiana tra infrastrutture, IA, big data e supercalcolo”, promosso da FPA in collaborazione con Dell Technologies e Microsof, riservato ai Rettori, Prorettori, delegati PNRR e responsabili dei sistemi informativi di università ed enti di ricerca della Pubblica Amministrazione.

La sostenibilità di lungo periodo sarà possibile anche grazie alla presenza, all’interno dei progetti di Partenariato esteso e dei Centri Nazionali, di medesimi Enti di Ricerca e Università. Questo permetterà di creare un dialogo e un’interazione tra i diversi progetti nello stesso investimento e tra investimenti diversi, in questo caso l’1.3 e l’1.4.  Più ci avviciniamo alla scadenza del PNRR è più risulta fondamentale affrontare le sfide della sostenibilità, del trasferimento tecnologico e della valorizzazione del capitale umano per garantire un futuro alla ricerca e all’innovazione nel nostro Paese.


[1] È uno strumento introdotto nella progettazione dalla Commissione Europea e attualmente impiegato per valutare e misurare i progressi di un progetto Horizon Europe o ERC. La scala TRL è generalmente articolata in nove livelli, utili a individuare il livello di maturità tecnologica raggiunto da un progetto.

[2] Le KET sono strumenti tecnologici fondamentali individuati dalla Commissione Europea, essenziali per migliorare i processi produttivi e generare valore aggiunto per le imprese. Queste tecnologie includono settori come la robotica, la cybersecurity, la nanotecnologia, e sono cruciali per guidare la trasformazione digitale dell’industria.



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