a colloquio con Nino Di Matteo (Seconda parte)

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L’intervista esclusiva al sostituto procuratore nazionale antimafia

Il processo trattativa Stato-mafia, la condanna a morte ricevuta da Totò Riina e Matteo Messina Denaro, le emergenze della lotta alla mafia sui collaboratori di giustizia e il regime penitenziario, i segreti che si nascondono dietro alle lunghe latitanze di capomafia come il boss di Castelvetrano e Bernardo Provenzano.
Sono questi gli argomenti affrontati dal sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo nella seconda parte dell’intervista rilasciata al nostro giornale.
“Uno Stato che vuole fare luce piena e a 360 gradi su quello che è accaduto non dovrebbe smettere di indagare e di capire come si è potuto verificare questo – afferma Di Matteo – Non è normale che negli anni e nei decenni in cui le forze di polizia sono professionalmente attrezzate, preparate e la tecnologia consente indagini invasive ed efficaci un Messina Denaro e prima ancora un Provenzano rimangano latitanti per tanti anni, evidentemente godendo di coperture che non sono soltanto quelle dei parenti e dei pochi fedelissimi di Cosa Nostra”. Secondo il magistrato “dire che oggi la mafia stragista è completamente sconfitta, o peggio ancora che la mafia non è più un problema, è un errore grandissimo”. In questo momento Cosa nostra sta vivendo una fase di riassestamento interno in cui “tra un investimento ed un altro si sta legalizzando. Sta confondendo le proprie ricchezze con capitali apparentemente puliti. Non si è solo infiltrata, ma impadronita di una fetta importante dell’imprenditoria locale e non solo locale”. Per questo motivo diventa difficile riconoscerla.
Particolarmente importante la considerazione sugli attacchi subiti dalla magistratura e l’importanza che oggi ogni cittadino faccia la sua parte per difendere la Costituzione, sempre più bistrattata.

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“Oggi, in maniera spudorata, assistiamo a campagne di stampa contro la magistratura e determinati magistrati nel momento in cui gran parte della classe dirigente di questo Paese non ha più voglia di sostenere la ricerca della verità a 360°. Non ha più voglia di sostenere una magistratura che sia capace di controllare l’esercizio del potere ufficiale in Italia. Si lavora per depotenziare la magistratura anche negli aspetti relativi alla lotta alla mafia, per depotenziare tutto il sistema di contrasto a quello che è diventato un cancro del nostro Paese: il prevalere delle logiche corruttive, clientelari e lobbistiche rispetto a quello che è lo spirito scolpito nelle norme della nostra Costituzione”. Secondo Di Matteo “oggi abbiamo una distanza siderale tra la Costituzione formale, quello che è scritto nella Costituzione, e la Costituzione materiale, cioè quello che viviamo ogni giorno, che i cittadini di questo paese vivono sulla loro pelle. Come cittadino italiano e cittadini italiani dobbiamo avere la consapevolezza che questa situazione costituisce un cancro silente per la nostra democrazia. E tutti dovremmo combattere semplicemente per ripristinare l’effettività della Costituzione. Non usarla soltanto come scudo. Principalmente e in prima battuta come scudo rispetto agli attacchi che la Costituzione subisce, e agli attacchi dei lavoratori, dei semplici cittadini, dei malati, diritti dei più poveri. Ma anche avere la capacità di trasformare la Costituzione in un’arma di attacco”. E a tal proposito ricorda il secondo comma dell’articolo 3 che sancisce il principio dell’uguaglianza sostanziale, secondo cui è compito preciso dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza dei consociati.

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