Sebastiano Mazzoni – La Cronaca di Verona

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Nacque a Firenze, il 20 marzo 1611, da Giuliano e Margherita Bastianelli. Da alcuni documenti contabili è possibile appurare che il Mazzoni trascorse quel periodo nella bottega di Baccio Del Bianco, uno dei più importanti maestri della corrente «giocosa» e «caricata» della pittura toscana seicentesca. Temi e soluzioni dell’ambito della tendenza «giocosa» ricorrono, nell’opera del Mazzoni fin dagli esordi. Nei dipinti della prima produzione, come le allegorie dell’Estate e l’Inverno emerge la sua spiccata propensione all’impiego di un gusto anticlassico. La maniera del Mazzoni, ricca di invenzioni compositive originali, si distingue per le pose molto dinamiche delle figure e da una stesura del colore piuttosto rapida. Da Baccio Del Bianco, esperto di scenografia, il Mazzoni coltivò la competenza nella rappresentazione delle architetture e degli spazi scenici, elemento che contraddistinguerà tutta la sua carriera. Egli optò per una scelta compositiva tesa a enfatizzare la vivacità del racconto. Il dipinto, inoltre, presenta tratti che hanno indotto a supporre un periodo di studio a Venezia, da situare all’incirca negli anni del presunto viaggio romano; la questione del trasferimento del Mazzoni a Venezia rimane comunque aperta. Alcuni dati consentono però di accertare quantomeno un rapporto diretto con la committenza di Venezia già all’inizio degli anni Quaranta. Il 7 sett. 1638 si registra la sua immatricolazione all’Accademia del disegno di Firenze. Allo stesso anno risale la prima tela datata e siglata dell’artista, Venere e Marte sorpresi da Vulcano. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio del decennio successivo è possibile datare l’Annunciazionedelle Gallerie dell’Accademia di Venezia che presenta, una maniera pittorica che sarà un avanzamento nella costante sperimentazione da parte dell’artista delle tecniche capaci di conferire alla composizione forti effetti di dinamismo. Verso il 1650 il Mazzoni dovette realizzare anche la pala raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Giacomo e Marco proveniente dalla cappella di S. Giacomo dei Conti di Maniago. A questo periodo è comunemente ricondotta anche una serie di dipinti «da stanza», con mezze figure; per il formato e per il tipo di soggetto allegorico si possono accostare, inoltre, a questo nucleo le due realizzazioni del tema della Carità la prima delle quali reca la firma dell’artista. Sempre all’inizio del sesto decennio il Mazzoni dà prova di approfondire progressivamente la conoscenza della pittura veneta tardocinquecentesca, rielaborando schemi legati alle invenzioni di Tintoretto e soprattutto del Veronese. Verso il 1660 o poco prima è stato ritenuto databile un altro corpo di dipinti che include, tra gli altri, Le Arti e le tre versioni del Sacrificio di Isacco, Lot e le figlie, il Ritrovamento di Mosè, Venere e Marte sorpresi da Vulcano, la Cena in Emmaus. In particolare nelle opere con temi profani si può rilevare la propensione del Mazzoni a stipare i personaggi in uno spazio contenuto. Attorno al 1665 si colloca l’esecuzione della Morte di Cleopatra tema piuttosto frequentato nella produzione figurativa veneziana del periodo, per il quale il Mazzoni concepì tuttavia una versione insolita, in particolare nello scorcio della regina. Dello stesso periodo appartengono le due tele raffiguranti la Disputa e lo Sposalizio mistico di s. Caterina provenienti dalla chiesa veneziana dedicata alla santa e oggi conservate alle Gallerie dell’Accademia. Anche questi dipinti, presentano delle influenze del Veronese, soprattutto per quanto riguarda la pronunciata inquadratura dal basso. Nelle opere dell’ultima fase la sua maniera tarda si distingue per un incremento delle tonalità scure, e per una stesura dei colori con pennellate «sfatte». L’artista accentuò infine il reimpiego tardo di moduli tintoretteschi, nelle pose e negli scorci vertiginosi. Al 1669 risale l’ultima opera datata del Mazzoni, il Sogno di Onorio III, concepito sulla base dei modelli sviluppati dal Tintoretto un secolo prima. Morì a Venezia il 22 apr. 1678, in seguito alla caduta da una scala nella dimora del nobile veneziano Giovan Battista Donà.

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