Incredibile: le Regioni boicottano le rinnovabili. Ci salverà il famigerato Tar del Lazio?

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La transizione energetica dicono di volerla tutti, persino il governo Meloni che si trastulla con tecnologie lontane nel tempo, come la fusione nucleare, non economicamente sensate, come la CCS (carbon capture and storage), o ancora con altre non disponibili e difficili da realizzare in un paese come il nostro, come i piccoli reattori a fissione nucleare modulabili. Un modo per realizzarla rapidamente ci sarebbe, ovvero le fonti rinnovabili come il fotovoltaico e l’eolico a terra o sul mare, che sono tecnologie immediatamente disponibili e pure economicamente convenienti. E a differenza di quanto accade per nucleare e CCS, ci sono degli imprenditori italiani ed esteri interessati a investire soldi loro. Purtroppo, però, essendo l’Italia il paese complicato che è, di questo passo non centreremo gli obiettivi che ci siamo dati a livello europeo, nazionale e regionale. Le ragioni sono tante: politiche, culturali, burocratiche, legislative, di campanilismo, e chi più ne ha più ne metta. E se lo Stato centrale non è efficiente, le Regioni fanno anche di peggio: a parole tutti i Governatori vogliono le rinnovabili, e poi dicono che non si possono installare nel 98 per cento del loro territorio.

È quello che è successo nei giorni scorsi in Sardegna, e che secondo un rapporto di Legambiente e Kyoto Club fotografa la situazione di (quasi) tutte le Regioni italiane. A leggere lo studio “Le fonti rinnovabili nelle Regioni italiane, la sfida verso il raggiungimento degli obiettivi al 2030 attraverso le aree idonee”, negli ultimi quattro anni è stato realizzato solo il 23,2% dell’obiettivo al 2030, cioè 80 GW. Nonostante l’Italia con 17.880 MW realizzati dal 2021 abbia ad oggi superato l’obiettivo di 16.109 MW indicato dal cosiddetto “decreto aree idonee” al 2024, in sei anni bisogna installare 61,4 GW di rinnovabili. In media è più di 10 GW l’anno, ma nel 2023 ne sono stati realizzati solo 6, che diventeranno a fine 2024 7-8. A rallentare la realizzazione di nuovi impianti a fonti rinnovabili in Italia, dice Legambiente, ci sono “ostruzionismo e burocrazia, e il nuovo decreto sulle aree idonee di luglio con cui il governo delega totalmente le Regioni ad approvare le linee guida su dove realizzare gli impianti”. Esaminando la classifica delle Regioni, il Trentino-Alto Adige/Sudtirolo è in testa con il 60,8% dell’obiettivo raggiunto. Le altre regioni si mantengono al di sotto del 35% con Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Valle D’Aosta e Piemonte tra il 34,4% e il 30,6%; nelle ultime posizioni ci sono Molise con il 7,6%, Sardegna con il 13,9% e la Calabria con il 14%.

Come si vede la Sardegna è indietrissimo, penultima delle Regioni italiane e lontanissima dal target stabilito, che pure dichiara di accettare. E dopo il varo del disegno di legge regionale sulle aree idonee, che indica i luoghi dove sarebbe consentito installare impianti di energia pulita, sembra ragionevole pensare che continuerà anche in futuro a restare lontana dagli obiettivi. Il 4 dicembre scorso il Consiglio Regionale isolano ha infatti approvato un testo che definisce come “non idoneo” per la realizzazione di impianti di produzione di elettricità green oltre il 98 per cento del territorio della Regione. A leggere l’Allegato F del provvedimento, pale eoliche e pannelli fotovoltaici di media taglia (tra 1 e 10 MW di potenza installata) potranno essere installati soltanto nelle “aree destinate a discariche di rifiuti” o che lo sono state, così come nelle zone D (produttive) e G (servizi), “nelle zone industriali di interesse regionale o gestite dai consorzi provinciali”, in quelle “dismesse” o nelle “aree estrattive di prima e seconda categoria”, come miniere e cave, anche se in disuso. Il solo fotovoltaico, invece, può arrivare sino al limite dei 10 MW nelle aree aeroportuali e portuali, “esclusi gli approdi turistici”, oltre che su “tetti e coperture” di edifici pubblici e privati. I Comuni della Sardegna possono autorizzare FER anche in aree definite non idonee, ma solo “nel rispetto delle peculiarità storico-culturali, paesaggistico-ambientali e delle produzioni agricole”. Serve prima una delibera del consiglio comunale, preceduta però dallo strumento partecipativo del “dibattito pubblico”, coinvolgendo anche gli altri Comuni confinanti. Dopo questo iter, non certo agile, il Comune può presentare una istanza alla Regione, che poi avrà quindi l’ultima parola. In generale, sono per ora sostanzialmente escluse le rinnovabili di grande taglia. La legge infine abroga la moratoria di 18 mesi sulla realizzazione di impianti a suo tempo varata dal Presidente della Regione Alessandra Todde, e prevede una serie di incentivi (il grosso a partire dal 2027) per chi farà impianti fotovoltaici e di accumulo per l’autoconsumo.

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Come noto, da molti mesi la Sardegna è travolta da una massiccia campagna quella che viene definita la “speculazione energetica delle multinazionali del vento e del sole”, contro una presunta “invasione delle pale eoliche”, e infine contro gli interessi continentali. Una campagna che nasce da interessi economici e politici ben precisi, e che si è collegata con il forte malumore nato a livello locale attraverso molti comitati territoriali contro alcuni progetti impattanti. “È la prima legge d’Italia sulle aree idonee – ha sottolineato la governatrice Todde in Aula – per una volta non siamo fanalino di coda, ma possiamo far vedere agli altri come si fa a pianificare il territorio. Questa legge ci dà finalmente delle regole – ha aggiunto -, la possibilità di dire a chi arriva dove si possono o meno installare impianti, e dire che ci sono dei territori che non si possono violentare, perché hanno beni culturali, foreste e un paesaggio che non vogliamo siano toccati, perché questa è la volontà dei sardi. Ribadiamo che noi vogliamo fare la transizione energetica, che non siamo quelli dei no, ma quelli che vogliono dare delle regole”.

Nella lista delle aree non idonee fanno parte (ovviamente) i parchi e le aree a vario titolo protette, ma anche le aree agricole interessate da coltivazioni arboree certificate, le aree gestite da consorzi di bonifica, le aree “ricomprese nei paesaggi rurali”, le aree sottoposte a vincoli idrogeologici, quelle a pascolo interessate da incendi, le aree interessate “da beni paesaggistici e da beni identitari”, le zone urbanistiche omogenee a uso residenziale, le aree minerarie sotto indagine e quelle dismesse riutilizzabili, le aree di cava, i siti Unesco, le aree agricole con produzioni di qualità, quelle rocciose, quelle oltre i 900 metri di altezza, quelle vicino a beni vincolati, quelle prossime a grotte e aree archeologiche. Non resta davvero granché. C’è la procedura che consente ai Comuni di chiedere esenzioni per installare, ma rischia di essere una via crucis per chi vorrà provarci. Pressoché impossibile sperare che al 2030 nell’isola siano installati i 6,2 GW di FER previsti.

Le altre Regioni stanno preparando le loro normative, e gli operatori del settore complessivamente esprimono grande preoccupazione. A questo punto potrebbe essere decisivo il ruolo della magistratura amministrativa. Il Consiglio di Stato il 14 novembre scorso ha sospeso il decreto aree idonee proprio sul punto che concede alle Regioni di intervenire per legge. L’udienza di merito del Tar del Lazio è fissata per il 5 febbraio, e bisognerà vedere se verrà questo orientamento verrà confermato, o si darà via libera alle Regioni. Come ha ricordato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, parlando all’assemblea di Confindustria Energia, la scadenza dei 6 mesi per individuare le aree idonee da parte delle Regioni è il 3 di gennaio, e “qualora le Regioni non avessero legiferato, potrei attivare i poteri sostitutivi. È chiaro che con il fermo dovuto all’intervento giudiziario, non è intenzione del governo attivare poteri sostitutivi fino a definizione del contenzioso giudiziario”.



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