Curarsi lontano da casa, cresce la spesa per il Sud

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ROMA Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto: sono le tre “grandi sorelle” della sanità, le tre regioni che attirano più pazienti da oltre i propri confini, con un beneficio economico. Questo fenomeno vale 670mila ricoveri e 2,8 miliardi di spesa, siamo tornati all’abisso degli anni prima della pandemia. Il Sud paga il conto e rischia di aumentare il divario nel Paese. Una parte degli italiani non può ricevere cure all’altezza vicino a casa anche a causa delle liste di attesa. Ci si sposta soprattutto per malattie osteoarticolari – in particolare le protesi -, i tumori e gli interventi ad alta complessità.

Emergono però anche cambiamenti incoraggianti. In primis, vi sono due grandi regioni del Centro-Sud, Lazio e Campania (ma ci sono buone performance anche in Sicilia), che continuano sì ad avere un saldo negativo – il dato che confronta quanto si incassa da pazienti che arrivano da altri territori con quanto si spende per quelli che fuggono in ospedali oltre confine – ma con una tendenza in miglioramento. Sia chiaro: la Campania è ancora la Regione che spende di più per la mobilità sanitaria, ma c’è sia un incremento dei ricavi grazie a pazienti da altre regioni sia una diminuzione dei costi a causa della fuga dei campani. Il Lazio si sta avvicinando al punto di equilibrio, con un saldo negativo relativamente basso, 14 milioni di euro. Inoltre – e questo vale per tutto il Paese – si sta contraendo la mobilità per cure di bassa e media intensità, resta però in aumento quella legata all’alta specialistica, sempre con il canovaccio dei “viaggi della speranza”, che interessano soprattutto chi vive al Sud e che per trovare una risposta di livello importante deve viaggiare per centinaia e centinaia di chilometri o deve prendere un aereo diretto magari a Bologna, Milano o Roma.

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ANALISI

Il report di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), riguarda il 2023 ed è stato presentato ieri. In saldo positivo ci sono, partendo dal più alto, Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana, Piemonte, Provincia autonoma Trento, e Molise. Tutte le altre sono in negativo e agli ultimi posti ci sono, partendo dal basso, Campania (che però ha registrato un buon miglioramento come detto), Calabria, Sicilia, Puglia e Liguria (tra le regioni del Nord è quella che sta peggio). Ancora: Agenas segnala il caso dell’Umbria: negli ultimi 5 anni è sprofondata l’attrattività ed è cresciuta la mobilità in uscita. Frenata in Lombardia: i ricavi legati alla mobilità in entrata sono calati di 50 milioni in 5 anni. Inoltre «la Lombardia non è più la prima Regione per attrazione ed è stata superata dall’Emilia-Romagna». Domenico Mantoan, direttore generale dell’Agenas: «La mobilità sanitaria è un problema, servono correttivi. La Costituzione ci dice che la sanità va garantita in maniera uniforme». Altri dati importanti: «Nonostante la pandemia abbia causato una riduzione del fenomeno della mobilità sanitaria, già dalla seconda metà del 2020 si osserva una ripresa del trend. Confrontando i dati del 2023 con quelli del 2019, si osserva come, sebbene il numero di ricoveri in mobilità sia diminuito (668.145 nel 2023 rispetto ai 707.811 del 2019), la spesa è aumentata passando da 2,84 miliardi di euro a 2,88 miliardi nel 2023. C’è un aumento del 12 per cento nella mobilità legata a prestazioni di alta complessità, mentre la componente di media-bassa complessità ha visto una diminuzione corrispondente del 12».

Altro fattore: i tre quarti degli spostamenti per prestazioni di alta complessità dipendono dalla sanità privata accreditata. Dal punto di vista delle direttrici “i viaggi della speranza” non sorprendono: «In termini percentuali, il flusso migratorio va all’83,78 per cento al Nord, al 68,24 al Centro, e al 27,22 al Sud».

SEGNALI

E poi ci sono i casi di Lazio e Campania che danno segnali in controtendenza rispetto al passato. Per la prima regione «ci sono una riduzione del saldo negativo grazie alla diminuzione dei costi di mobilità passiva (-9 per cento) e un aumento dei ricavi (+11)», per la seconda si registra la riduzione dei «costi legati alla mobilità passiva del 6 per cento e l’incremento dei ricavi grazie a un aumento dei ricoveri in mobilità attiva di alta complessità».

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