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Sassari È arrivato il giorno di Enrico Berlinguer, dell’omaggio di Sassari a uno dei suoi figli più illustri, sicuramente il leader più amato di sempre della sinistra. L’appuntamento è alle 16.30 all’auditorium provinciale di via Monte Grappa per un evento, il secondo dopo quello di Cagliari del 28 novembre, promosso dalla Regione con il Gruppo Sae, la Nuova Sardegna e Sardinia Post come media partner. Sul palco sono attesi l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema, l’ex ministro Beppe Pisanu, la presidente della Regione Alessandra Todde, la giornalista ed eurodeputata Lucia Annunziata. Ad aprire l’evento, dopo i saluti istituzionali del sindaco Giuseppe Mascia, sarà una tavola rotonda, moderata da Luciano Tancredi, in cui si parlerà di politica e informazione. Insieme alla presidente della commissione Vigilanza Rai Barbara Floridia e al giornalista Maurizio Mannoni, ci sarà Giovanna Botteri, una vita in Rai come inviata tra Urss, Iraq e Bosnia e corrispondente da Usa, Cina e Francia.
Botteri, chi era per voi giovani Enrico Berlinguer? «Ricordo quando venne a Trieste per un comizio in piazza Goldoni. Fu una giornata davvero epocale. Dall’altipiano triestino scendevano i comunisti sloveni con le bandiere rosse, non si trovavano più autobus. Trieste è una città dalla storia controversa: il contado sloveno, la città borghese italiana, l’Anschluss con i tedeschi, le foibe. Eppure in quella giornata fu incredibile vedere la città fredda che accoglie con un fiume di gente questa figura mitica. E noi lì a camminare, a camminare per avvicinarci a questa piazza strapiena».
Che impressione le fece Berlinguer?«Mi colpì il fatto che questa figura per noi grandissima era in realtà un uomo minuto, magro, con la testa piena di capelli. Ce l’ho qui davanti agli occhi. Ricordo che i triestini fecero quasi un muro intorno a lui per proteggerlo. E poi poco dopo successe quelle che successe a Padova…».
Nel 1991 da inviata Rai lei è stata testimone del crollo dell’Urss: quanto ha contributo Berlinguer? «Berlinguer è stato studiato e raccontato soprattutto nella sua chiave italiana, nazionale, ma è stato incredibilmente importante in quegli anni a livello internazionale. Erano gli anni della guerra fredda. Non si può capire quello che successe allora e quanto sta succedendo adesso senza conoscere il ruolo che ebbe Berlinguer. Fu il primo ad aprire la strada all’eurocomunismo che si staccava dalla egemonia sovietica. Berlinguer condannò l’invasione della Cecoslovacchia, una linea impensabile allora, perché il partito era legato non solo finanziariamente ma anche ideologicamente all’Urss, che restava il punto di riferimento. Berlinguer seppe costruire una nuova idea che manteneva gli ideali di giustizia sociale ma arricchiti da elementi di democrazia occidentale ed europeismo. I suoi alleati, il francese Marchais e lo spagnolo Carrillo, non riuscirono a staccarsi da Mosca».
Possiamo dire che la caduta del Muro di Berlino sia una conseguenza dello strappo di Berlinguer? «Lui è il primo che coraggiosamente si mette contro la dottrina Breznev. Apre alla possibilità a una terza via, al socialismo, all’Europa. Sente la necessità di portare i valori del Partito comunista all’interno di un sistema democratico e nel mondo occidentale».
Quanta attualità c’è nel pensiero di Berlinguer? «Lui è il politico come dovrebbe essere. Un uomo legato al suo Paese, che lavora per il suo Paese, che pensa e studia da politico. È stato il primo a capire che all’interno del movimento operaio occidentale bisognava fare entrare nuove contraddizioni, nuovi problemi, affrontandoli con una griglia interpretativa diversa. Era un uomo capace di elaborare una strategia non dell’oggi, ma a medio e lungo termine».
Perché la sinistra si sente ancora orfana di Berlinguer? «Non so se si senta orfana, ma sicuramente io vorrei che si sentisse orfana. Vorrebbe dire che ha elaborato tutto quello che è successo dopo la sua morte, vorrebbe dire che ha capito quanto quel modo di fare politica fosse fondamentale. A sinistra c’è stata quasi una volontà di staccarsi dalla figura di Berlinguer, come fosse superata. Oggi invece ci rendiamo conto di quanto ci sarebbe bisogno di uno come lui».
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