Era tra le lunghissime fila dei caduti in guerra di cui per lunghi decenni non si era saputo più nulla. Ora però a distanza di 80 anni dalla sua scomparsa, per Francesco Demuru, posadino della classe 1924, morto per mano dei partigiani di Tito durante la seconda guerra mondiale, è arrivato il momento di fare rientro nella propria terra natia. Le sue spoglie, individuate pochi mesi fa grazie al test del Dna, torneranno all’interno di un’urna il prossimo 15 dicembre per essere tumulate definitivamente nel cimitero del centro costiero dell’alta Baronia. Per l’occasione il parroco di Posada don Carlo Sedda officerà una messa di suffragio. Anche quella di Francesco Demuru è una storia che riecheggia quella di milioni di altre persone che durante il più grande conflitto bellico della storia, non hanno potuto più riabbracciare i loro cari, finendo la loro esistenza in una fossa senza un nome. Stragi raccontate da testimoni oculari ma per anni ignorate per questioni ideologiche. «Mio padre Michele aveva saputo per vie traverse che mio zio era morto a bordo di una nave affondata – racconta con grande emozione Maria Antonietta, nipote di Francesco -. I documenti ufficiali lo davano come disperso dal 16 novembre del 1944, quando di lui non si seppe più nulla». Il corpo del marò baroniese, era stato rinvenuto nel 2019 a Ossero, in Croazia, insieme a quello di altre 27 persone che erano state trucidate il 22 aprile del 1945, cinque mesi dopo essere stati catturati come prigionieri di guerra dai partigiani di Tito. Un’operazione di recupero condotta da Onor Caduti del ministero della Difesa in collaborazione con le autorità croate e un gruppo di ricercatori giunti da Zagabria. «Il nostro sogno di poter riavere la salma di mio zio ha preso piede per merito di mio nipote Dennis Lai – racconta ancora Maria Antonietta Demuru – e alle sue continue ricerche. Avendo letto qualcosa sull’eccidio di Ossero, mi aveva messo in contatto con il signor Riccardo Maculan ex carabiniere di Verona che fa parte di Onor Caduti, con il quale abbiamo avviato una fitta corrispondenza che ci ha fatto venire a capo di questa drammatica vicenda». I protagonisti che hanno aiutato i familiari di Francesco Demuru a risolvere il caso dell’individuazione della sua salma sono stati tanti, come il giornalista Fausto Biloslavo «anche lui ci ha aiutato tanto a far emergere la vera sorte di mio zio e dei suoi compagni». In tutto sono 14 i corpi a cui è stato finalmente dato un nome. Tutti marò della X Mas che strappati all’oblio delle fosse comuni in quella terra lontana vennero rimpatriati e portati nel sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari, dove successivamente furono avviati i test di comparazione del Dna con i parenti più stretti per risalire alle loro generalità. Francesco Demuru dopo essere stato dichiarato abile alla leva di 28 mesi, si arruolò volontario alle armi il 19 giugno del 1943 a La Maddalena. Da qui venne trasferito a Mariscuole di Venezia, catturato dai tedeschi venne deportato in Germania e richiuso nel campo di concentramento di Goertz. Nel mese di luglio del 1944 tornato a Venezia venne ricoverato in ospedale per problemi di salute per circa 4 mesi e poi una volta dimesso venne ridestinato a Maridest Venezia. Era il 16 novembre del ’44 quando di lui non si seppe più nulla venendo cosi dichiarato disperso. In verità finì nelle mani degli uomini di Tito che dopo averlo tenuto come prigioniero per 5 mesi lo passarono alle armi insieme ai suoi compagni. Il resto è storia recente e il prossimo 13 dicembre finalmente la sua salma potrà finalmente riposare in pace nel cimitero di Posada. «Per noi è un dono insperato anche in memoria di mio padre e di mia nonna – dice Mariantonietta Demuru, facendosi portavoce anche degli altri nipoti -. Loro avevano vissuto nel dolore di aver perso un fratello e un figlio diperso». Il figlio Matteo ha aperto un ristorante che ha intitolato allo zio caduto in guerra: Frade (acronimo di Francesco Demuru) che ha trasformato in Frade Meu (fratello mio).
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