«La crescita dell’internazionalizzazione (3 poli + 2) e della cultura amministrativa. L’Abruzzo deve stabilizzare i suoi tre poli industriali, l’automotive di San Salvo, il polo chimico farmaceutico con la Menarini e la Dompè, il polo elettronico intorno alla Micron. Ma la Pilkington e la Denso hanno bisogno di portualità industriale per conquistare (almeno) i mercati dei Balcani e le altre aziende di sostegno al credito, di sgravi per la ricerca, di contratti di rete di imprese. Il cuore è locale ma la sfida è globale. Ed inoltre occorre sostenere il quarto “polo diffuso” dell’agroalimentare e del vino di qualità che nell’export è cresciuto del 12,3% nel 2011. Un bel risultato. Nella green economy l’Abruzzo deve rinnovare l’autotrasporto pubblico perché non è pensabile che la “regione dei parchi”, che ha un’alta autosufficienza energetica, sia la seconda produttrice di Co2 e gas serra. Ma anche il quinto polo da costruire, quello dell’economia della conoscenza, è internazionalizzazione perché occorre far dialogare le eccellenze, come l’Infn e il nuovo Science Institute del Gran Sasso o il Mario Negri Sud, con le facoltà universitarie migliori esistenti in Abruzzo, puntando sulla qualità e sugli accordi di programma. Ma una nuova cultura amministrativa è essenziale: c’è troppa politica che gestisce, nella sanità, negli appalti, negli affari. Occorre una netta separazione tra le funzioni politiche, di indirizzo e di programmazione nonché di verifica dei risultati, dalla gestione amministrativa che deve essere tecnica e professionale, basata solo su merito e competenza. Solo sulla base di questi presupposti potremo presentarci vincenti alla decisiva sfida dei nuovi fondi strutturali».
Che cosa cambia per l’Abruzzo con il governo Monti?
«Per l’Abruzzo, come per l’Italia, cambia tutto perché come ha scritto il direttore Baraldi in un recente editoriale che condivido in ogni rigo, Monti spinge la politica nazionale e regionale a confrontarsi con la sua debolezza, con i limiti di cui resta prigioniera, e la necessità ineludibile del cambiamento. Rigore finanziario e morale, standard europei, cultura dei diritti e dei doveri, concorrenza e solidarietà nell’impegno nazionale: in epoca post-ideologica è più che un programma. Ma occorre dare atto che Monti non è solo e non viene dalla luna è figlio di un’Italia seria e laboriosa ed è accompagnato da un progetto politico che lo sostiene, quello dell’unità delle principali forze politiche che, con responsabilità, collaborano nelle fasi difficili per il Paese. moderati e riformisti insieme: è il nostro progetto».
Quali sono le due cose principali che l’Abruzzo deve fare per invogliare a fare impresa nella regione?
«Ne ho indicate alcune. Posso aggiungere che sarebbe utile concentrare le risorse pubbliche sui corsi di formazione per l’internazionalizzazione e la banda larga in tutta la regione. Anche in montagna e al mare. E ritengo da tempo utile una Banca d’Abruzzo per sostenere il credito sul territorio: non una nuova Fira, sia chiaro, una banca che nasce dal mercato per il territorio Ci sono vari movimenti in atto, non è un progetto impossibile».
In maggio si voterà all’Aquila: sarà un test di valore regionale e nazionale?
«Per me di valore mondiale, la sfida della ricostruzione è storica. Naturalmente, come ho sempre scritto e detto, la buona politica è necessaria ma non basta, occorrono progetti, cultura amministrativa, competenze e tanta passione civica. Ma all’Aquila sta per determinarsi, credo, un fatto politico importante: cresce un polo civico e centrista, competitivo con i poli tradizionali di destra e di sinistra. Andrà al ballottaggio e potrà vincere. un’altra politica, che cerca di unire nella sfida delle idee e nel rispetto degli altri, che persegue legami di governo per dare risposte a problemi complessi. All’Aquila sono caduti molti muri, spero cada anche quello della politica divisiva e faziosa».
Che giudizio dà del progetto Ocse sull’Aquila e sull’Abruzzo del futuro presentato venerdì scorso all’Aquila?
«Un giudizio molto positivo, l’orizzonte è quello dei grandi progetti di eccellenza. Diciamo la verità: il motto “dove era, come era” va bene per la ricostruzione dei tessuti urbani di pregio storico e architettonico, per i monumenti e le chiese, ma per il resto L’Aquila la vogliamo più bella e diversa: una capitale del “Medioevo prossimo venturo”, un luogo di dialogo tra storia e contemporaneità, una smart city del terzo millennio. E la vogliamo “capitale europea della cultura 2019”: un progetto che ho lanciato già nel 2009, anche con un’interrogazione parlamentare a cui darà risposta tra breve il nuovo governo. una notizia che anticipo sul sito www.laquiladiciannove.eu».
Lo strumento del Patto per lo sviluppo dell’Abruzzo è ancora utile o va rivisto?
«Va rivisto, aggiornato, con il nuovo governo. Va orientato sulla nuova filosofia dei fondi Fas del ministro Barca e su una forte politica di valorizzazione e dismissione dei beni immobili pubblici. Per riqualificare, trovare risorse, rilanciare l’economia. Ma al fondo, prima di tutto, deve esserci l’insegnamento del vescovo Forte: dignità e responsabilità dei lavoratori e degli imprenditori, l’azienda come luogo evangelico».
Che giudizio dà dei tre anni della giunta Chiodi?
«Si è impegnato, con una squadra non adeguata, risultati modesti, in tempi difficili. Troppo cesarismo, la teoria dell’uomo solo al comando non funziona. Chiodi è sorto sull’onda di un’inchiesta giudiziaria, ora rischia di esserne travolto anche lui».
Chiodi dovrebbe poteri di commissario per la sanità e la ricostruzione?
«Sono per un potere politico ordinario, costituzionale, con amministrazioni straordinarie. Noi dobbiamo coltivare il sogno di essere un paese normale, democratico, basato sull’efficienza dei mercati e il rispetto della legalità. Tutto il resto genera mostri, salvo specifiche emergenze. Nella sanità i problemi non si risolvono con accordi con le Marche sul “turismo sanitario di prossimità”. Della ricostruzione si può dire che la spessa nube di ordinanze speciali impedisce ai raggi delle leggi di semplificazioni, vigenti in tutta Italia, di potersi applicare. Non gli do consigli, decida lui».
Quali sono i difetti maggiori della classe politica abruzzese?
«Di essere, appunto, “classe” politica. Intendiamoci, io adoro l’Abruzzo e ho stima di molti suoi amministratori: ma ci si accontenta, si gestisce un po’, forse si rimpiangono i bei tempi di Remo Gaspari. Ma quella politica è storia, non tornerà, oggi occorre il senso della sfida in tutti i campi. Non un caso che, dopo Letta che ha un suo originale percorso, non ci siano politici locali in grado di rappresentare l’Abruzzo al giusto livello nazionale e internazionale».
Le elezioni regionali abruzzesi sono fra circa due anni: come pensa che i partiti si presenteranno a quell’appuntamento?
«Vedo il Pdl in grande difficoltà, la crescita di un poli di Centro o della Nazione, il Pd lontano dalla foto di Vasto. La vera sfida è quella di dare una risposta convincente all’antipolitica, con più etica, sobrietà, capacità di governo, con la buona politica. una sfida difficile, ma l’Italia può farcela».
Che identikit dovrebbe avere il prossimo presidente della Regione?
«Deve saper unire moderati e riformisti e somigliare un po’ alle qualità di Monti».
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