«Così perderemo i giovani più bravi»

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ANCONA La semantica della formazione riscrive il codice delle priorità, costrette a piegarsi all’equazione tagli uguale sacrifici. S’infiammano le università dell’Italia tutta, alimenta l’ardore della protesta il poker degli atenei marchigiani. La miccia corre veloce verso l’esplosivo, il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), dal quale dipendono il pagamento degli stipendi e le spese di funzionamento: sono stati stanziati 9,03 miliardi, 173 milioni in meno rispetto al 2023 con una riduzione pari all’1,85%. La deflagrazione: dalla ripartizione risultano più svantaggiate Macerata (-3,21%), lo Iuav di Venezia (-3,20%) e Napoli L’Orientale insieme a Urbino (-3,19%). Le schegge impazzite: la distribuzione delle risorse alimenta la disparità tra gli atenei grandi e quelli periferici, spesso baluardi della resilienza.

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I detrattori

Dalla fortezza della resistenza si leva, forte e chiara, la voce di Graziano Leoni rettore di Camerino, simbolo non solo accademico in una terra sconquassata dal terremoto del 2016. Amareggiato, lo ammette il magnifico: «Ormai quei tagli sono stati pubblicati in un decreto». Bruciano sulla pelle. Ai detrattori che non assolvono il frazionamento delle facoltà locali, Leoni ribatte: «Il sistema marchigiano è complementare, non ci sono sovrapposizioni, garantisce la copertura di tutte le discipline: scientifiche, tecniche, umanistiche. È un motore per la regione». Oltre i sofismi, punta alla sostanza: «Risparmiare sugli organi accademici, che vengono già retribuiti, non genera uno sgravio ma piuttosto un depotenziamento». Tira somme, che non tornano: «La perdita del Fondo, che nelle Marche produce una riduzione media di oltre il 3%, per Camerino è al 3,11%, ma è un dato apparente. In realtà è molto più sostanzioso poiché all’interno del calcolo, alla base delle diminuzioni, viene inserito anche il Piano straordinario finanziato dal Pnrr, che per decreto sono soldi già spesi. Quindi i tagli superano il 10%».

Il valore

Va oltre i profitti, per riaffermare il valore sociale: «La nostra università è un gancio al quale è appeso il territorio. Non può venire meno». Attiva il fattore prezioso della memoria: «All’epoca della grande botta del sisma fu grazie a un accordo di programma con il ministero che rimanemmo aperti. Altrimenti non esisteremmo più». I sacrifici? «Si dovranno fare sulle opportunità da offrire ai giovani ricercatori. Il prossimo anno dovremo rinunciare a 3 milioni». Di futuro.

Ridefinisce perimetri che penalizzano le scelte e rendono fragili le competenze, Gian Luca Gregori: «La formazione medica delle università private sta crescendo, così come le iscrizioni in quelle telematiche». Il rettore della Politecnica dilata la visione d’insieme: «Contemporaneamente, il nostro territorio con le crisi economiche e sociali sta vivendo una grande trasformazione». Arriva alla sintesi: «L’Università, in questa cornice, assolve un ruolo fondamentale per creare innovazione e crescita culturale, sociale, economica e ambientale».

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I numeri

Risolto il prologo, si affida alle cifre: «L’impatto della contrazione sul nostro bilancio è stato notevole, pari a 10,9 milioni di euro». Passa alla controffensiva: «Sono state recuperate riserve per riequilibrare il minore finanziamento ministeriale e i maggiori costi del personale». Entra nelle pieghe più profonde, per tentare di raddrizzare il tiro: «La gestione attuale ha acquisito 40 milioni a fondo perduto per l’edilizia e per tale motivo ha portato avanti i progetti avviati, seppur con importi più elevati, senza contrarre nessun mutuo». Arriva al nucleo, al nocciolo duro: «La contrazione del Fondo sembra strutturale e non occasionale, per tale motivo sono necessarie azioni di riequilibrio economico anch’esse strutturali». Non si arrende: «La nostra risposta è una strategia di sviluppo. La nostra prospettiva è quella di mantenere il tradizionale bacino di utenza e provare a incrementarlo con un’offerta formativa innovativa, puntando su quella continua, rivolta a chi lavora, intensificando l’attrattività internazionale, sviluppando il territorio, valorizzando l’imprenditorialità». Torna alla logica dei numeri, quelli che riempiono il quadrante positivo: «Abbiamo incrementato i corsi di laurea, che sono passati da 50 a 74, aumentando il numero di matricole da 4.600 a 5.200 e il numero di studenti internazionali, che l’anno scorso ha superato il 10% delle matricole». Da super esperto di marketing qual è ci mette il brand: «Università pubblica, viva e dinamica, nel territorio e per il territorio».

C’è tutta la suggestione della Gente di Dublino nello sguardo schietto di John McCourt. Irlandese d’origine e maceratese d’adozione, il magnifico di Unimc torna nell’area dei segni “meno”. «I tagli previsti nella legge di Bilancio 2024 – non schiva il pericolo – avranno conseguenze significative anche per atenei con bilanci solidi come il nostro. Rischiamo la paralisi». Converte il danno in termini di copertura delle spese ordinarie e del personale.

L’eccellenza

Lo immagina cupo, lo scenario che sarà: «Noi, che siamo riconosciuti per essere un’eccellenza nelle discipline umanistiche e nelle scienze sociali, potremmo avere difficoltà a mantenere l’attuale offerta formativa e a sostenere progetti innovativi. Le risorse vincolate a specifici obiettivi, assunzioni o infrastrutture, potrebbero non compensare le riduzioni della quota libera del Fondo, lasciando pochissimo spazio per la pianificazione strategica». Esce dalle aule, per dare fiato alla lezione della vita: «Il rischio è anche per il territorio. C’è preoccupazione per l’impatto sulla tutela del diritto allo studio: potrebbero aumentare le tasse universitarie in una zona d’Italia che affronta significative sfide di crescita economica. Per una città universitaria come Macerata, gli effetti negativi a catena potrebbero essere notevoli». Le fragilità del domani le mette in sequenza: «Saremo costretti a rallentare il reclutamento e a ricorrere ancora di più all’uso dei contratti annuali per coprire gli insegnamenti. Dopo anni d’investimento in termini umani ed economici, rischiamo di perdere i nostri giovani studiosi più bravi, che verranno incardinati altrove». Si ferma a un passo dal baratro: «Fra meno di due anni finiranno i fondi Pnrr e la ricerca rischia di arenarsi». Di piegarsi all’equazione tagli uguale sacrifici.





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