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Apple, Volkswagen e Starbucks sono aziende diverse, di settori diversi, ma sono tutte accomunate dalla stessa cosa: per loro la Cina (che per qualsiasi multinazionale è un mercato importantissimo) sta diventando un’area sempre più complessa. È quanto emerge da un’analisi dell’Economist, secondo la quale le vendite in Cina delle aziende americane ed europee quotate (aziende che quindi le dichiarano) hanno raggiunto il loro picco ormai tre anni fa.
Nel 2021 la cifra era infatti di 670 miliardi di dollari, il 15% dei ricavi totali di quelle stesse imprese. L’anno scorso, le vendite sono scese di 20 miliardi di dollari, con una quota sui ricavi ridotta al 14%. Quest’anno non sembra fare differenza, con un nuovo calo anno su anno – se si va a guardare il conteggio delle vendite da parte di chi le riporta trimestralmente. Intanto cala anche il numero di aziende che riporta numeri in crescita.
Le italiane in Cina
Anche tra i numeri delle italiane in Cina si notano diversi segni meno. Nei primi nove mesi dell’anno l’export italiano in Cina è calato del 23%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’import nel nostro Paese nel frattempo è aumentato del 2%, secondo l’osservatorio economico del ministero degli Esteri dedicato a Pechino. Tra le quote di mercato dei Paesi esteri in Cina, l’Italia è passata dal 17esimo posto nel 2020 al 24esimo nei primi nove mesi del 2024.
Andando a saggiare le opinioni delle imprese l’ottimismo non sembra particolarmente alto. Secondo l‘Italy China Council il 70% delle aziende cinesi in Italia è ottimista per il futuro, mentre solo il 47% delle imprese italiane in Cina può dire lo stesso. Più o meno le stesse percentuali sono quelle relative a chi dichiara di voler effettuare investimenti.
Le cause del calo occidentale: i concorrenti
Ogni gigante occidentale ha il suo agguerrito concorrente cinese.
Starbucks ha Luckin Coffee, un concorrente locale più economico che “a settembre contava 21.000 negozi nel paese, circa tre volte il numero delle filiali della catena americana e in crescita rispetto ai 13.000 dell’anno precedente”, riporta l’Economist. La catena americana starebbe addirittura pensando a vendere una quota della sua attività in Cina.
Apple deve pensare a Huawei, che ha appena lanciato una nuova linea di cellulari e che sembra sempre più agguerrita. Le vendite degli iPhone di Apple sono calate dello 0,3% nel terzo trimestre del 2024, mentre la rivale Huawei ha fatto un balzo, enorme, del 42%.
Apple ora ha un market share del 15,6% (era al 16,1% nello stesso periodo del 2023), mentre il gruppo di Shenzhen è arrivato in terza posizione con il 15,3%, secondo la società Usa di ricerche Idc. In testa alla classifica sale Vivo, con il 18,6%: un’altra società cinese che punta su telefoni più economici.
Volkswagen (che in Cina vende il 30% delle sue auto) deve affrontare il problema della concorrenza cinese nel resto del mondo, figuriamoci in Cina: qui i veicoli elettrici prodotti da BYD e NIO hanno un grande successo. Nei primi nove mesi dell’anno i tedeschi hanno venduto in Cina 6,52 milioni di vetture: un -3% rispetto allo stesso periodo del 2023.
La crescita di Byd in particolare sembra inarrestabile, con la vendita di 4 milioni di prodotti nel 2024 che ora è a portata di mano: gli stessi livelli di giganti tradizionali come Ford e Honda. Parlando solo di veicoli elettrici, Byd ha consegnato in 9 mesi 1,2 milioni di vetture, 100mila in meno di Tesla (che fa solo quelle). Un altro gigante, General Motors, ha annunciato che chiuderà stabilimenti cinesi e svaluterà le joint venture messe in piedi in Cina.
La guerra al ribasso dei prezzi
In un’intervista proprio la Ceo di Gm Mary Barra aveva parlato delle guerre al ribasso per i prezzi nel Paese. C’è un motivo alla base di questi ribassi, ricorda l’Economist: la crisi dei consumi ha colpito indistintamente tutti, anche le imprese locali, che rispetto ai concorrenti occidentali hanno meno remore ad abbassare i prezzi dei loro prodotti. In ogni caso, tutti soffrono per il calo della domanda da parte dei consumatori e per la stagnazione economica del Paese dovuta alla crisi immobiliare.
I dazi
Il 2 dicembre gli Stati Uniti hanno introdotto nuove restrizioni sulla vendita di strumenti per la produzione di chip ad alcune aziende cinesi. Ma i produttori di apparecchiature per semiconduttori sono americani e occidentali (Applied Materials, Lam Research e KLA, ASML) e quattro associazioni industriali cinesi hanno già chiesto di ridurre gli acquisti di chip americani.
Non c’è solo la tecnologia. Le azioni dei produttori europei di brandy, come Rémy Cointreau e Pernod Ricard, sono crollate quando la Cina ha annunciato misure antidumping (con un peso di quasi il 40% sul prezzo finale) contro i dazi imposti dall’Ue sui veicoli elettrici cinesi. E ora i dazi promessi da Donald Trump preannunciano un periodo ancora più difficile per gli occidentali di casa a Pechino.
La risposta cinese ai dazi Ue: nel mirino brandy e auto di grossa cilindrata
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