Firenze, 9 dicembre 2024 – La colonna di fiamme e fumo si è vista a chilometri e chilometri di distanza. Uno spettacolo impressionante, che ha destato non poche preoccupazioni e timori. I primi a fare le spese della tremenda esplosione avvenuta questa mattina nell’impianto della raffineria Eni a Calenzano sono stati ovviamente i lavoratori del deposito stesso: la conta è, al momento, di 2 morti, 3 dispersi e diversi feriti. Ma quando ci sono incidenti di questo tipo è inevitabile che gli effetti ricadano anche sull’ambiente circostante. Ne parliamo con Annalisa Romiti, ingegnere ambientale e referente del settore Studi Ambientali di ICARO di Icaro srl..
Dottoressa che impatto ha un’esplosione del genere a livello ambientale?
“La cosa positiva, se così si può dire in una simile tragedia, è che l’esplosione è avvenuta presso l’area di carico e scarico e non c’è stato sversamento dei liquidi nell’area dei serbatoi, dove i volumi di idrocarburi hanno altri ordini di grandezza. Da quel punto di vista, parlando per prima cosa di suolo e sottosuolo, quindi terreno e acque sotterranee, quella di carico-scarico e le pensiline di carico delle autobotti sono zone pavimentate quindi qualunque sversamento di idrocarburo residuo che possa esserci eventualmente stato è contenuto. In questo caso non c’è rischio di contaminazione di suolo e sottosuolo come ad esempio avviene nel caso di un rilascio da serbatoio. Quindi da questo punto di vista dovremmo essere tranquilli”.
Quali possono essere i rischi nell’area dopo l’incendio?
“Dopo l’esplosione l’incendio è stato molto rapido, quindi l’intervento dei vigili del fuoco immagino lo sia stato altrettanto. In questi casi si interviene con acqua antincendio e se così è stato quella usata per lo spegnimento poi deve essere gestita nella maniera giusta. Occorre molto attenzione nel collettare e trattare l’acqua antincendio impiegata per domare le fiamme perché se questa confluisce ad esempio in un corso acqua questo può causare problemi ambientali, ma queste zone di carico-scarico come dicevo di solito sono pavimentate, quindi ci sono tutte delle procedure per gestire queste acque da uso antincendio. Normalmente vengono chiusi tutti i collegamenti alla fogna, così che non entrino nella rete fognaria o nel corpo idrico ricettore, ma vengono gestite in delle vasche ad hoc e poi in base al grado di contaminazione vengono smaltite come rifiuti o come previsto dalla normativa comunque, senza rischi ambientali diretti. L’impianto Eni è, come altri siti del genere, hanno un peculiare pericolo di inquinamento quindi sono sempre in essere queste procedure da rispettare”.
I soccorsi sul luogo dell’esplosione: tutti con le mascherine (Ph. Germogli)
E la colonna di fumo che si è sviluppata?
“L’incendio è stata una combustione di idrocarburo avvenuto in condizioni violente e molto rapide. Non è la combustione controllata del carburante nell’automobile. Qua la situazione è molto diversa: il prodotto di partenza è sempre lo stesso però c’è una dinamica di combustione più rapida e, diciamo, non completa. Insieme ai prodotti classici di combustione (NOx, polveri, CO, etc.) ci sono alcuni incombusti che possono andare in atmosfera, il fumo nero che si vede in pratica: questo avviene perché alcuni componenti degli idrocarburi che sono stati all’origine dell’incidente non sono stati bruciati in maniera completa. Sono chiamati incombusti, rendono la nube visibile nell’aria e di colore nero. Sia per l’ambiente che per le persone si possono avere impatti, ma in genere non a lungo termine. Sull’uomo ci può essere un effetto sanitario acuto ad esempio sul sistema respiratorio; per l’ambiente quando queste ceneri vanno a ricadere, a depositarsi nell’intorno, possono impattare sulla parte vegetale dell’ecosistema e presumibilmente anche sulle acque superficiali.
In questo caso non sono attesi problemi di emissioni di diossine, come invece può accadere da combustione di plastiche. Ci dovranno comunque essere accortezze, Arpa avrà sicuramente monitorato la direzione del fumo per capire bene il raggio presumibile entro il quale ci sono state queste ricadute dei composti”.
In casi come questo l’Agenzia cosa fa?
“Di solito si fanno dei monitoraggi di aria-ambiente, per capire l’esposizione delle persone, ma anche su altre matrici ambientali, che siano acque superficiali, che siano vegetazione. Ad esempio banalmente a chi ha un orto nella direzione viene interdetto l’utilizzo”.
Invece nell’impianto si procede con una bonifica?
“Non è detto, perché normalmente quando si parla di bonifica di siti contaminati significa che si deve andare a risanare il suolo, sottosuolo o le acque sotterranee. E normalmente si fa quando c’è uno sversamento di idrocarburo sul suolo, di solito senza neanche l’incendio, quindi il prodotto va infiltrarsi nel terreno fino anche a raggiungere potenzialmente le acque sotterranee. In questo caso, per la dinamica dell’incidente, essendo avvenuto in area pavimentata, dubito che ci siano bonifiche da fare in loco sull’area del rilascio. Più che altro c’è da vedere l’effetto della dispersione dei fumi. Se poi ci fosse invece un qualsiasi sversamento, Arpa farà fare dei campionamenti, delle analisi sui terreni, per escludere il coinvolgimento dei suoli”.
Quanto ci vuole, di solito, per calcolare l’impatto di un evento simile sull’ambiente?
“Arpa si sta già muovendo e lo farà in più giorni finché non saranno esclusi tutti i possibili rischi. Farà campagne di monitoraggio ripetute intorno, mentre nell’area si interviene subito. Basti pensate che quando uno stabilimento ha un rilascio così, un incidente, ha tempistiche molto brevi di intervento, 24 ore per notificare e poi il minimo tempo necessario (in genere alcuni giorni) per fare campionamenti e, in base agli esiti, scattano gli interventi. Sono tempistiche molto serrate, come prassi consolidata nella normalità, quindi in casi come questo sarà fatto con ancora più rapidità”.
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