Sulla curiosità inautentica – Eventi Culturali Magazine

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Io ritengo che chi si occupi di antropologia filosofica non possa ignorare il concetto di deiezione. È un concetto che, partorito nell’esistenzialismo e reso famoso dalla riflessione heideggeriana contenuta in Essere e tempo (1927, cap. 5, §39) ancora oggi risulta particolarmente stimolante per chi si interessa dello studio dell’essenza umana. Non essendo un interprete del pensiero heideggeriano e peraltro neanche un assiduo frequentatore delle sue pagine mi limito soltanto a segnalare la potenza teorica di questo concetto. Per tale motivo non mi preoccuperò eccessivamente di restare fedele alla genuinità del suo pensiero ma cercherò di sviluppare, a partire da esso, un percorso (brevissimo) di riflessione teorica. In estrema sintesi è interessante osservare che la deiezione è, in ultima analisi, una condizione esistenziale dell’essere umano. Più precisamente Heidegger la descrive come uno «scadimento al mondo». Questo scadimento, precisa Heidegger, non ha un carattere negativo ma descrive soltanto la situazione dell’uomo la cui vita si risolve nell’inautenticità, vale a dire nella «dispersione della pubblicità del si». Si tratta quindi di una condizione intrinseca all’esistenza umana che ci allontana dalla consapevolezza autentica di noi stessi. L’individuo, infatti, si lascia assorbire dalle preoccupazioni quotidiane e dal pensiero convenzionale, finendo per vivere in modo superficiale e distratto. La deiezione, potremmo quindi dire, è una forma di alienazione: l’uomo smarrisce il contatto con la propria essenza più profonda, immergendosi in un’esistenza che non interroga più il senso dell’essere, ma si accontenta di risposte già date e di stimoli esterni per nulla indagati. Questo scadimento al mondo si articola ulteriormente in tre modalità in cui l’esistenza umana difatti si perde nella quotidianità inautentica: quella della chiacchiera, della curiosità e dell’equivocità. Di questa triade concettuale la curiosità ha ancora oggi sicuramente un certo valore euristico a livello antropologico nella misura in cui descrive, in modo meravigliosamente pregnante e puntuale, la condizione dell’essere umano imprigionato nel caleidoscopico vortice delle stimolazioni insignificanti, delle occasioni vacue, delle visioni fini a se stesse. Nel nostro tempo, nel quale ai pensieri profondi abbiamo sostituito la vacuità delle idee veloci (quelle, per intenderci, che dilagano online), anche la nostra struttura esistenziale sta andando incontro a incredibili cambiamenti. Di tutti questi cambiamenti, il concetto di curiosità (nei termini evidentemente heideggeriani) intercetta con assoluta precisione il nostro modo di incontrare il mondo. Riflettiamo: in che modo, oggi, incontriamo il mondo intorno a noi? Sempre più frequentemente noi incontriamo il mondo per il tramite di diaframmi e mediazioni digitali. Difficilmente oggi si potrebbe trovare qualcosa che sia esclusa dalla digitalizzazione totale del mondo (finanche i rapporti umani, molto spesso, passano per questa terribile mediazione virtuale). Non soltanto però i contatti con il mondo si fanno più flebili (sempre più l’uomo si disperde nel vasto mondo della rete che da sovrastruttura del mondo è divenuta invece l’habitat stesso dell’essere umano) ma il digitale stesso favorisce, per la sua stessa natura plastica, una proliferazione di contenuti e di idee incommensurabilmente vasta e incessante. L’uomo quindi, ma soprattutto i giovani, rinunciano sempre più spesso ad incontrare il mondo nella sua complessità ma si disperdono nei mondi della rete e li finiscono per trascorrere gran parte del loro tempo confrontandosi in modo assolutamente insignificante con idee veloci, idee che si mostrano e scompaiono divenendo subito obsolete. Si confrontano, per dirla con Gino Roncaglia, con saperi granulari, con arcipelaghi di conoscenze frantumate. Anche le strutture cognitive dell’essere umano dunque si modellano sulla base di questa incessante creazione e proposizione di contenuti. Il pensiero umano, dunque, che appare oggi illusoriamente vivace e curioso è in realtà soltanto il simulacro di un intelletto del quale da sempre, poeti, filosofi, scienziati e scrittori, hanno tessuto le lodi individuando in esso l’aspetto centrale della natura umana. In questo scenario la curiosità che illusoriamente sembra animare le vite dei nostri giovani è la vera curiosità di tipo filosofico che procura reale conoscenza? La risposta di Heidegger non lascia spazio a dubbi: la curiosità caratteristica dell’esistenza inautentica non si rivolge al mondo per comprenderlo «bensì soltanto per vedere». Ecco un passo particolarmente significativo: «Essa […] la curiosità cerca il nuovo solo per potere, da lì, saltare di nuovo a qualcosa di nuovo». Questo è un moto perpetuo, un «lasciarsi andare al mondo». In questo moto caleidoscopico e insignificante la curiosità è caratterizzata – lo esprimo nel linguaggio heideggeriano – da uno specifico «non-indugiare presso il prossimale». Questo implica che la curiosità, piuttosto che concentrarsi su ciò che è immediatamente significativo o rilevante, si disperde nella ricerca di stimoli esteriori e contingentali, senza mai fermarsi per una comprensione profonda e riflessiva del mondo circostante. In altre parole, l’individuo curioso non si impegna in una ricerca autentica, ma in un continuo movimento di scoperta superficiale, che evita di fermarsi su ciò che veramente conta.

Questo concetto spiega molto bene agli atteggiamenti del nostro tempo. Noi viviamo un’epoca dominata da una sovrabbondanza di informazioni, alla quale corrisponde un impoverimento in termini di profondità. I consumatori di informazioni si muovono attraverso un flusso continuo di dati, che provengono da fonti disparate e spesso inconsistenti, senza un filtro critico, una ricerca di verità o una consapevolezza profonda dei significati sottostanti. La curiosità contemporanea tende a farsi affascinare dalla novità, dall’istantaneità e dalla spettacolarizzazione del sapere senza mai fermarsi ad esplorare la sostanza di ciò che viene detto.

In quest’ottica, Heidegger offre una critica importante: la curiosità non porta a una vera comprensione del mondo. Al contrario, contribuisce a una vita inautentica, in cui l’individuo è perennemente distratto dal prossimo stimolo, senza essere in grado di riflettere su ciò che è veramente significativo. Questo genere di curiosità fa sì che l’uomo contemporaneo sia «dovunque-e-in-nessun-luogo». Quando nessun percorso di conoscenza viene completato (la curiosità in autentica, spiega Heidegger, si caratterizza anche per il pericolo costante della distrazione) l’uomo si disperde nell’infinità di percorsi inconclusi e ciò determina uno smarrimento caotico nel mondo. Chi si smarrisce, è chiaro, resta intrappolato in percorsi apparenti, avanza ma resta fermo, non progredisce, non si muove realmente. Pertanto il non-indugiare, la distrazione e il non sapersi trattenere sono, dal punto di vista di Heidegger, i tre elementi costitutivi della curiosità non autentica. Il rimedio per l’uomo del nostro tempo, alla luce di tutto ciò, risiede nel recupero di una modalità di esistenza che contrasti la frenesia e la distrazione quotidiana. Si tratta di imparare nuovamente a indugiare, cioè a dedicare tempo alla riflessione profonda, fermandosi a contemplare la realtà nella sua essenza, anziché cedere alla ricerca di saperi frivoli e immediati. La vera conoscenza nasce dall’ascolto attento e dall’impegno riflessivo, non dalla frenetica ricerca di stimoli esterni. Solo attraverso questa disposizione all’ascolto autentico (che forse la scuola potrebbe imparare e insegnare……), che implica una relazione più profonda con il mondo, possiamo riscoprire una verità che non si limita alle apparenze, ma che incentiva una comprensione reale dell’essere.

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