Sicilia, siccità e ritardi: così perde i finanziamenti per le dighe e programma soluzioni già superate

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Piove. Adesso, mentre scrivo. E mai s’è letto su un giornale fatto tanto banale, a dicembre poi…

Ma vedete, io vivo in Sicilia. Lo dicono gli scienziati, lo dicono i dati ma potrebbero anche non dirlo: è evidente, palese a tutti che qui piova sempre meno. A novembre era ancora clima da spiaggia, buono per crogiolarsi al sole e su Instagram: “15 novembre? No, qui è il 107 di agosto!” Bellissimo. E tragico.

Qualcuno dice che questa lunga estate sia un bene per il turismo, ma proprio il turismo d’estate ne ha pagato il prezzo. A luglio l’unica cosa a tuonare dall’alto fu il New York Times: “A causa della mancanza d’acqua, la Sicilia teme di perdere anche il turismo”. L’eco della notizia mondiale, i tour operator in allarme, i turisti che assillarono gli hotel dell’isola per assicurarsi che una volta qui avrebbero potuto farsi una doccia. Per qualche settimana perse clientela sia chi non aveva l’acqua (pochi, in realtà) sia chi l’aveva regolarmente. Effetto a cascata, ma senz’acqua.

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Se il turismo ha pianto, ad altri la crisi ha prosciugato pure le lacrime. Parlo di chi vive nei paesi con l’acqua razionata, di chi irriga i campi e disseta gli allevamenti (una mucca da latte bene 200 litri al giorno), della filiera produttiva. Parlo dei canadair, impegnati negli incendi (dolosi) che mettono al rogo la vegetazione in nome dei posti di lavoro per il successivo rimboschimento: se a bruciare è l’entroterra, occorre ormai planare fino al mare per una pozza d’acqua abbastanza profonda da cui pescare.

Pioveva. Sto ancora scrivendo ma ha già smesso. Qui ormai le piogge o si fanno alluvioni, specie lungo le coste, o non si fanno per niente, soprattutto nell’entroterra. Così tra Enna e Caltanissetta ancora oggi i turni del razionamento idrico possono superare la settimana e la crisi, come ogni crisi che si trascina, è diventata guerra. Tra poveri.

Pochi giorni fa 5 sindaci dell’ennese (Troina, Nicosia, Sperlinga, Gagliano Castelferrato e Cerami) hanno capeggiato la rivolta contro la decisione di dirottare acqua su Caltanissetta e San Cataldo. Prima hanno occupato i locali della diga dell’Ancipa, poi bloccato la condotta e quindi manomesso il quadro elettrico, segno che qualcuno dei manifestanti sapeva dove mettere le mani. L’indomani Siciliacque ha sporto denuncia per i danni agli impianti, che causeranno problemi a tutti.

La Regione Sicilia ha “stigmatizzato e condannato senza riserve le azioni, soprattutto se attuate da rappresentanti delle istituzioni e in momenti di forte tensione sociale”, salvo poi correre a occuparsi di altri faccende che accrescono la tensione sociale e che vedono coinvolti rappresentanti delle istituzioni. Quali? Gli stessi Governi regionali degli ultimi anni. L’indomani, infatti, i giornali titolavano pressappoco così: “Tagli alla Sicilia per 338 milioni, persi anche i soldi per le dighe”. Piove sul bagnato, si direbbe figurativamente.

Succede infatti che il Cipess, acronimo che sta per Comitato interministeriale per la programmazione economico e lo sviluppo sostenibile, ha definanziato 45 progetti della Regione e 34 delle tre città metropolitane Catania, Palermo e Messina. Nella lista c’è di tutto, ma fa impressione leggere che saltano i fondi per una diga a Gela (20 milioni), un invaso a Caccamo (2 milioni) e altre dighe e canali (450mila). Motivo? Non è stata rispettata la scadenza del 31 dicembre 2022 né quella del 30 giugno 2023, e “per i progetti per i quali non era stata prodotta una sola carta significativa non c’è stato nulla da fare”.

Immediatamente è scattata la corsa… a darsi le colpe. Di questo Governo regionale o di quello prima ma… che cambia? Governo dopo Governo, ciò che resta immutata è la sensazione d’essere sempre un passo indietro, che questa terra proceda per toppe o per soluzioni in ritardo. O per toppe in ritardo.

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Prendete la questione dissalatori: costruiti a Gela, Trapani e Porto Empedocle si sono rivelati presto obsoleti, impattanti e costosi al punto da essere pensionati. A settembre, con “l’acqua alla gola” (sempre figurativamente), si decise di riesumarli sentendosi però rispondere che erano stati costruiti così già vecchi da avere tecnologie “non più riproducibili”. A novembre, due mesi dopo, mentre si contavano i danni delle alluvioni e si pregava per un po’ di pioggia in una diga, via alla costruzione di nuovi dissalatori.

Un po’ il rischio che si prospetta con i primi termovalorizzatori siciliani, soluzione per i rifiuti attesa da decenni col risultato che mentre qui si aspettano nel resto d’Europa si dismettono. E non è che in Sicilia non si sappia: si sa al punto che il Piano Rifiuti della Regione prevede già che dal 2030 (lo stesso anno in cui probabilmente entreranno in funzione) saranno sanzionati dall’Ue. È la politica del “male minore”, che tratta quest’isola sempre come un vecchio malato e mai come un giovane su cui investire, puntare, innovare.



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