Dopo la decisione della Corte costituzionale, perquisizioni in case e uffici di Bucarest a caccia di tracce russe. Mentre il candidato escluso urla al “golpe” ed è pronto a nuove azioni
Dopo l’annullamento del voto presidenziale a due giorni dal ballottaggio, come deciso dalla Corte costituzionale, la polizia rumena ha fatto irruzione a Brasov in tre abitazioni legate all’inchiesta sulle interferenze russe che avrebbero favorito il candidato indipendente Calin Georgescu. Capi d’imputazione: «Reati di corruzione di elettori, riciclaggio di denaro e falsificazione informatica». A Bucarest e dintorni regna ancora lo shock mentre il politico filo-russo urla al “golpe” e promette di fare ricorso.
A dire che è «immorale, illegale» l’annullamento della procedura elettorale ora è anche la sua avversaria, l’ex giornalista Elena Lasconi. Che la Romania vada tutelata dalla longa manus di Mosca è invece il presidente in carica, il filo-europeo Klaus Iohannis, di cui Georgescu sembra essere la nemesi perfetta. Il pro-Bruxelles promette che rimarrà in carica fino alla scelta del prossimo presidente, che avverrà in elezioni rimandate a un lontano, imprecisato domani.
Se avessero aperto le urne oggi nello Stato che condivide 650 chilometri di confine con l’Ucraina in guerra, c’era la possibilità che ad assicurarsi la vittoria sarebbe stato il politico che ha conquistato più voti alle ultime urne dello scorso novembre promettendo di tagliare i fondi per gli aiuti militari a Kiev. Quello che leader europei e sondaggisti avevano ignorato. Arlecchinesco, filorusso, eccentrico: Georgescu è di certo tutte queste cose. E di certo è esploso sui social in maniera “artificiale” come sostengono osservatori e i report d’intelligence che hanno portato all’annullamento del voto elettorale. Ma gli elettori hanno scelto lui – hanno spiegato diversi analisti rumeni – anche perché non volevano più scegliere gli altri.
L’uomo del web
Arrivato alla ribalta direttamente dalle viscere del web, presentatosi come il megafono di «quelli che hanno la sensazione di non contare e che in realtà contano di più», è cristiano ortodosso, amante della croce quanto del dojo: pratica judo, come il presidente russo. Non ha nascosto di ammirare Vladimir Putin, «un uomo che ama il suo Paese», di trarre ispirazione dal «grande mediatore» Orban.
Parla però come Trump: ultranazionalista, chiosa di ritorno ad investimenti nazionali, tagli alla spesa militare. Vuole più incentivi per gli agricoltori, più sovranità. Meno importazioni, meno dipendenza, e soprattutto meno Kiev. Georgescu non aveva un vero programma politico, che mancava anche ai suoi oppositori: nessuno ha presentato una soluzione, per esempio, all’inflazione che a Bucarest svetta verso le stelle e rimane tra le più alte in Europa (dati Eurostat).
Ambiguamente descritto dai quotidiani più letti al mondo prima come un signor nessuno e poi come il candidato manciuriano del Cremlino, emerso dall’oscurità con oltre 92 milioni di visualizzazioni sui social, Georgescu però nei palazzi del potere c’era da un pezzo, anche se in quelli meno importanti e più grigi. La stella del web rumeno che si è venduta in video diventati virali come «uomo medio comune», solo e in lotta contro il sistema, ha lavorato per l’Istituto nazionale di ricerca e sviluppo.
Già consigliere del ministro dell’Ambiente Marcian Bleahu, ha rappresentato Bucarest all’Onu per coordinare strategie di sviluppo sostenibile. È tutto scritto nel curriculum (pubblico e lungo cinque pagine) del figlio di un agronomo e di un’impiegata del ministero dell’Agricoltura che si è dottorato nello stesso ramo d’impiego dei genitori (Scienze naturali), cresciuto in quello che era un feudo soviet ed è poi diventato il fianco est della Nato. Che lui oggi critica: non si preoccupa degli ipersonici del presidente russo – che minacciano terre e mari, tutti prossimi, direttamente o meno, all’Ue-, ma del missile balistico dell’Alleanza atlantica piazzato nel villaggio rumeno di Deveselu.
Solo quando Georgescu decide di calcare i palchi della politica si accorgono che è troppo a destra perfino per l’estrema destra del partito Aur (Alleanza per l’Unione dei rumeni), che lo sostiene nella corsa elettorale nel 2020 e nel 2021, ma poi lo silura per le critiche alla Nato e omaggi nostalgici ai fascisti nazionali del passato (ne ha tributati anche a Corneliu Codreanu, fondatore antisemita della Guardia di Ferro).
La scomunica pericolosa
Quando ha conquistato più voti di tutti a novembre, però, l’Aur ha spinto i suoi elettori – più di un milione – a sostenerlo nel ballottaggio che non s’ha da fare.
Il Cremlino finora, più che appoggiarlo, ha snobbato silenziosamente quello che si è presentato come il «vendicatore», «l’ inviato da Dio per servire i rumeni». Oltre le cortine di fumo e legittimi timori d’ingerenza russa, ciò che non possono spiegare le parole, possono chiarificare i numeri.
Nella corsa elettorale contro 14 avversari, Georgescu ha racimolato quasi il 23 per cento dei voti, ovvero molto meno della maggioranza necessaria per vincere. La sua avversaria Lasconi non molti di meno: il 19 per cento, solo un paio di migliaia in più di Ciolanu, che ha rassegnato dimissioni. (Il capo dei democratici, quando ha appreso della sua sconfitta, ha detto di non voler contestare il voto: però ha giudicato come «unica soluzione» l’annullamento delle votazioni).
Come già accaduto negli Stati Uniti, il rischio in Romania è che con questo impeachment calato dall’alto potrebbero aver reso ancora più popolare l’outsider antiestablishment, forse eletto anche dall’infinito scontento del popolo rumeno, inascoltato nonostante le proteste di piazza. Si vota con la stessa mano con cui si scrolla e a scegliere Georgescu è stato anche il più grande elettore che c’è in giro di questi tempi da est a ovest: quello arrabbiato.
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