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“Pro Sicilia” è il primo degli articoli che Gesualdo Bufalino scrive fra il 1982 e il 1987 per quotidiani e periodici e raccolti in “La luce e il lutto”. “Ho scritto molto sulla Sicilia, negli ultimi anni. Più dell’antica che dell’odierna, più dell’amabile che dell’amara. Non perché non vedessi o non patissi l’intreccio di frode e violenza che sempre più pare presiedere al nostro destino, ma per un sentimento d’incompetenza e d’inanità”.
«Chi scelse di battezzare “Caronte” uno dei traghetti che fanno la spola fra la sponda calabra e la sicula, avrà agito senza malizia, per uno sfoggio di memoria classica o, addirittura, per scaramanzia. Certo è che, senza volere, ha finito col ricordare al turista che, non solo sta varcando le soglie di un Paradiso, ma anche di un luogo d’ombra e di pena. È come se, navigando fra Scilla e Cariddi, sul solco della nave due sirene affiorassero e vi tentassero con due lusinghe contrarie: una celeste, che parla di gelsomini d’Arabia, letizie di luna, spiagge simili a guance dorate; l’altra scura, infera, con mezzogiorni ciechi a picco sulle trazzere e sangue che s’asciuga adagio ai piedi di un vecchio ulivo.
(…) Le nostre piaghe sono antiche, sarebbe colpevole bendarle, tacerle. Ma altrettanto colpevole è cucirsi gli occhi di fronte a tutto ciò che l’isola rappresenta di vitale, di intelligente, di fantasioso, di forte (…).
Forse è un permaloso orgoglio a farci credere questo. O piuttosto ci allarma l’ostinazione con cui certi luoghi comuni tornano ruvidamente a segnare la nostra anagrafe. Si dice Sicilia, e subito bruciano le labbra parole come “mafia”, “omertà”, “onore”, “gallismo”, “gattopardismo”… Parole che non sono, intendiamoci, simulacri pieni di vento, ma la cui bandiera copre volentieri le merci e i contrabbandi più vari.
(…) Posti dalla sorte a far da cerniera fra continenti e culture discordi; impastati di calcolo e istinto, razionalismo europeo e magismo africano; condannati da sempre a subire sul viso, come eroi pirandelliani, il sopruso di molte maschere, tutte attendibili e tutte false, veramente noi siciliani scoraggiamo chiunque voglia racchiudere in una formula univoca la nostra franta, ricca, contraddittoria pluralità.
Eppure forse basterebbe che il visitatore si armasse di pazienza, di umiltà; che venisse qui senza fretta, che accettasse per un mese di mangiare e dormire alla ventura, di sudare molto; che si contentasse di non capirci subito per poterci capire più tardi, di non amarci oggi per poterci amare domani. Solo questa iniziazione protratta consentirebbe di accostarsi con animo equo a quelle parole che dicevo prima, e ai sentimenti e statuti di costume e di vita che sottintendono. Non si chiedono con ciò indulgenze cosmetiche: la mafia esiste, cancro e vergogna comune; ma la sua esistenza non autorizza in nessun caso una lettura mafiocentrica dei nostri contegni. La quale, seppure possa tentarci in taluni momenti di angoscia, risulterà alla lunga un frettoloso, imperdonabile errore. Pochi sanno, per esempio, che in molte e ampie zone della regione la mafia è sconosciuta del tutto; che in altre aleggia solo nell’aria in forme di generica incruenta alleanza d’offesi contro uno Stato che viene sentito nemico. (…). Allo stesso modo il nostro silenzio, la ritrosia a rispondere e a svelarsi, se a volte è diffidenza di cani troppo a lungo bastonati, più spesso è solo pudore, solitudine, malinconia…
Valga ciò per la Sicilia di ieri e di oggi, ma quella di domani? Un domani imminentissimo, che già sorride nelle facce dei giovani, vibra nei loro gesti rapidi e lieti, nel mistero incantevole dei loro destini. Poiché una cosa non si dice abbastanza: che accanto a una Sicilia immobile, o che sembra tale, un’altra, più o meno sommersa, si va clamorosamente muovendo e s’allontana ogni giorno di più dai modelli culturali dei padri (…).
Di questa Sicilia che cambia cercate di accorgervi: energica, attiva, estroversa, capace d’inventarsi risorse e fabbrilità senza numero. Ma non dimenticate, insieme, di salvare il moltissimo ch’è salvabile nella Sicilia che dura: quel cielo e quel mare, miracolosamente resistenti agli insulti della chimica; i vulcani in fiamme, le miti colline; le pianure dove scorrono fiumi dal nome di miele; le leggende che fioriscono sulle labbra in un’aria di mito; le botteghe dove artigiani impareggiabili ripetono i venerandi gesti della fatica; le finestre fiorite di graste, dietro cui una ragazza bruna sorride; le chiese di pietra bionda, belle come creature di carne; le piazze dove ogni giorno il cartellone prevede una puntata nuova di quel teatro di pupi che è l’inesauribile vita; gli uomini, i milioni di uomini piccoli e scuri, dal cuore ospitale, benché così irto di sofismi e rovente di lave crudeli…»
Gesualdo Bufalino. Pro Sicilia.
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