Ciò che è accaduto in Romania, con l’intervento della Corte che ha annullato il voto, stupisce solo chi non vuol riconoscere il nodo cruciale delle straordinarie trasformazioni in atto: il conflitto tra un modello di governo a trazione giurisprudenziale e uno a trazione esecutiva, a tutto danno della tradizionale “democrazia legislativa”
Quanto accaduto in Romania lo scorso venerdì è segno di una transizione epocale con tutta l’eclatanza del caso: la Corte costituzionale ha annullato l’esito del voto popolare alle elezioni presidenziali. È l’ennesima, vivida incarnazione del crescente conflitto tra i poteri dell’esecutivo e quelli del giudiziario, tipico delle attuali transizioni di sistema.
A due giorni dal ballottaggio tra Călin Georgescu, indipendente filorusso con posizioni ultranazionaliste e antieuropee, e la liberal-progressista Elena Lasconi, il presidente uscente, Klaus Iohannis, ha divulgato alcuni documenti dell’intelligence. Un ampio numero di account TikTok, creati da uno «stato straniero» nel 2016, sarebbero stati improvvisamente riattivati il mese scorso a sostegno di Georgescu. Con una sentenza netta e concisa, la Corte spiega che l’equità e la legalità del processo elettorale sono state compromesse in misura tale da determinare la nullità dell’intero suffragio.
Nella rituale compulsione sovranista, Georgescu ha gridato a un golpe che tacita e nega l’espressione della volontà del popolo sovrano, principio fondativo della democrazia. Un organo non eletto interviene con poteri non legittimati dal crisma popolare per sospendere la legittima decisione del popolo romeno.
Eppure, di contro al vieto copione delle lagnanze anti-giudiziarie, sempre troppo miopi rispetto alla complessità dei processi di legittimazione politica, l’intervento della Corte stupisce solo chi non vuol riconoscere il nodo cruciale delle straordinarie trasformazioni in atto: il conflitto tra un modello di governo a trazione giurisprudenziale e uno a trazione esecutiva, a tutto danno della tradizionale “democrazia legislativa”.
Quest’ultima s’incentra sul rapporto tra elettori ed eletti, con gli eletti che, nel parlamento, rappresentano e articolano la volontà di chi affida loro il mandato di rappresentanza. Tuttavia, proprio come cento anni fa – vuoi per il senso di maggiore sicurezza promesso dai programmi elettorali della destra, vuoi invece per effetto di efficacissime attività di propaganda – le democrazie legislative si stanno trasformando in democrazie esecutive, nelle quali il governo assume preminenza rispetto alle attività del parlamento sino a svolgere funzioni sia esecutive che legislative.
Proprio come cento anni fa, nel giro di pochi anni (e non solo in Italia e Germania), gli elettori e i loro rappresentanti si consegnano mani e piedi a esecutivi che promettono un indirizzo chiaro e deciso per la ricostruzione della nazione e il rafforzamento dei legami sociali entro un progetto di comunità di destino.
Persino nelle più evolute democrazie contemporanee, la capillare capacità d’infiltrazione della propaganda nella vita quotidiana dei cittadini conferisce slancio e vigore al messaggio delle forze illiberali circa l’alternativa che dicono di promettere – un’alternativa, non importa quanto realizzabile, ma che risulta assai più efficace che le armi spuntate delle forze progressiste, le quali, come ricordava qualche giorno fa Rosi Braidotti a Otto e mezzo, non sanno suscitare quelle passioni attive che mobilitano all’azione e cementano il legame tra cittadinanza e istituzioni democratiche.
Rispetto a cento anni fa, però, da metà Novecento è venuta emergendo l’incomparabile forza d’interdizione delle Corti più alte. Queste si profilano oggi come le tutrici di una “superlegalità costituzionale”, ossia del valore non negoziabile di alcuni principi fondativi, considerati persino più rilevanti che non il diritto positivo di produzione parlamentare.
Una legalità che appunto “sta sopra” alle leggi positive e alla stessa Costituzione, perché di queste ispirazione vitale e chiave interpretativa. È in forza di questo tacito assunto che la Corte costituzionale romena è tempestivamente intervenuta a protezione dell’equità e della legalità del processo elettorale.
Ma al di là della presa di parte per la “militanza democratica” delle corti o per il diritto di un popolo che, se lo desidera, può legittimamente mettersi nelle mani di un esecutivo illiberale, brilla inequivoco il dato di un conflitto tra modelli di democrazia – giurisprudenziale ed esecutiva – che accelerano il pensionamento delle democrazie legislative.
I parlamenti sono o esautorati da esecutivi che di fatto legiferano o da corti supreme che fanno loro da protettrici e precettrici. Insomma, la democrazia che conoscevamo sta morendo. E sarà bene elaborare il lutto per tempo e con un poco di cognizione, prima che ad esso debba badare un tutore, che vesta la toga oppure l’uniforme.
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