Attualità Paolo Rico /180
EDILIZIA A NUOVO FINO AL 2050.MA SENZA SPRECO DI ALTRO SUOLO
«Vivo in un monolocale tanto angusto che, se metto ciglia finte, posso comodamente spolverare tutto» Franco MARAFINO, comico torinese |
Case; tante case; case nuove in arrivo: almeno fino al 2050. Scenario ipotizzato da autorevoli osservatori immobiliari,alle cui previsioni si ascrivono pure le rassicurazioni sul tendenziale contenimento di ulteriore nuova occupazione di superfici, per realizzare questi consistenti interventi edilizi. Senonché – ma non contro questa opportunità – risuona alto, proprio in queste ore, l’allarme delle imprese costruttrici. Nell’interpretazione del Cresme, il think che sviscera i processi del comparto, la preoccupazione è, infatti, per «la forte flessione del mercato residenziale (-4,8%) e il calo delle opere pubbliche (-1,1%)». Per affossare tale de profundis, una generosa colata di ottimismo arriva, però, dai report sui recenti provvedimenti, che promettono interventi sulla cosiddetta rigenerazione urbana.
Misure capaci, cioè, di rifunzionalizzare l’abitare sul versante della «qualità», perché orientate ad accrescere essenzialmente lo stock abitativo senza il ricorso a nuovi siti da cementizzare. Insomma, più volumi (residenziali) con ridotti spazi (edificatori). Un vero e proprio miracolo, che si appalesa senza trucchi, con la semplice “rinascita” ovvero adattamento; riallineamento del costruito, ormai ammalorato o inadeguato ai bisogni della mutata domanda residenziale e di infrastrutturale. Fino al fatidico 2050 si recupereranno 855 kmq di aree dismissibili o non più occupabili da parte di umano come casa o per servizi. Quel che autorizzerà opere per 320milioni di mtq, a destinazione prevalentemente abitativa. Si potrebbe registrare un fatturato di oltre 660miliardi di euro (25 miliardi l’anno: almeno 5, interamente a disposizione del sistema-impresa, in edilizia, nelle sue componenti padronale, occupazionale, commerciale e finanziaria). Tanto porterà ad un’offerta di appartamenti per poco meno di 2milioni di residenti in circa 420mila nuovi alloggi. Case già esistenti, ma disagiate, finalmente risanate non solo nei propri spazi abitati, ma anche nel reticolo delle strutture di vita all’interno di quartieri, finalmente all’altezza dei tempi per tecnologia di manufatti e per l’offerta dell’indotto all’interno della cornice di operatività del quartiere stesso.
E’ già, in parte, abbozzato così, ad esempio, a Milano, il plan afferente al futuro delle aree appartenute all’Expò, la celeberrima fiera mondiale della nutrizione. La riconversione di questi spazi rientra in un avveniristico programma infrastrutturale, in parte noto con l’acronimo MInD ovvero Milan Innovation District, a certificare un polo dell’eccellenza soprattutto nello spettro delle scienze della Vita. Davvero una cittadella autosufficiente per servizi, residenze e collegamenti, da un verso, costola metropolitana; dall’altro, futuribile incubatore del progresso smart. Tradotta in soldoni, l’operazione impegnerà 4miliardi e mezzo di investimenti. E’ stato spiegato dagli amministratori meneghini come «un ambizioso progetto, che sarà pronto nel 2032, diventando paradigma di un nuovo vivere sostenibile». Obiettivo, già relativamente realizzato, almeno per i 7mila addetti ai cantieri. Dal loro intervento sugli iniziali 475mila mtq interessati al maquillage si attendono uffici, appartamenti, negozi, verde attrezzato, ambulatori, caserme di vigilanza territoriale e ogni altro supplemento logistico in grado di creare «un ecosistema per la crescita socio-economica tramite interconnessioni tra il meglio del posto e i più capaci talenti di tutto il mondo». Perché la natura “universalista” di Mind riguarderà tutti. Come amano sottolineare i responsabili del programma infrastrutturale: «saremo attrattivi anche il sabato e la domenica perché Mind è un quartiere di Milano senza sbarre, accogliente; in grado di rispondere a quanto appreso con Expò ovvero che se fai un posto bello, la gente arriva da ogni dove».
La prova dalla recente Cop29, che ha mancato – è vero – l’obiettivo strategico di organizzare la propria agenda mondiale, ma ha constatato che ormai oltre l’80% della nuova potenza elettrica, installata lo scorso anno nel mondo, era “rinnovabile”. Il paese che inquina di più il pianeta rimane la Cina, che è anche il più grande investitore nelle rinnovabili. Insomma, l’”innovazione” non può essere uno slogan, ma è, in realtà, una prassi, indotta da opportunità (offerta di beni e servizi) e convenienza (risparmio e ricerca). Valutazioni che si apprezzano nell’operativo per la rigenerazione urbana, che è cardine della svolta positiva del mercato immobiliare ed infrastrutturale. Non con interventi additivi, incrementali nello specifico di cemento aggiunto a cemento. Quel che si farà – lo abbiamo anticipato – è sostituire quel che non va agli orizzonti di un’aggiornata pianificazione residenziale. Dalla produzione del moltiplicatore insediativo deriveranno a favore dello Stato notevoli risorse erariali, previste tra i 17 e i 26miliardi annui di ulteriore fiscalità. Smaltare in materia edile, sostanza logistica e spirito esistenziale la rigenerazione urbana consentirà di far evolvere le aree di destinazione di progetti, per contenimento della tensione abitativa; riuso e rifunzionalizzazione dei siti sottoutilizzati, abbandonati o marginali, consegnati ad efficaci ed efficienti inserimenti di nuova concezione sociale. Sicuramente, a drenare maggiori risorse saranno i poli metropolitani: le città più dinamiche e le concentrazioni demografiche satelliti. Ma l’effetto imitazione non mancherà di coinvolgere, a macchia di leopardo, altri territori attivi e prospettici. Si stima in 855kmq la superficie italiana in parte riqualificabile. 320milioni di mtq potrebbe misurare l’estensione dell’edificabile, come abbiamo scritto in avvio di questa nota.
Dunque, si schiudono panorami di configurazione di quella qualità del vivere, lungamente quanto inutilmente inseguita dagli anni della crisi antropologica post-piani-casa, legata contraddittoriamente all’espansione alloggiativa. Tutto per convincere chi non lo fosse che «non c’è nessun posto come casa propria», secondo l’aggraziata constatazione dell’autore de’ Il meraviglioso mago di Oz, (il controverso romanziere Usa Lyman Frank BAUM, 1856 – 1919) comunque proteso a confermare che la tenacia e lo sguardo lungo sono doti di un volitivo carattere della capacità, della qualità di essere.
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