Armi invece di giocattoli – L’Osservatore Romano

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A 15 anni imbracciano il fucile. Seminano paura invece che raccogliere la gioia a cui hanno diritto a questa età. Sono i bambini soldato che da oltre un anno e mezzo combattono la guerra civile in Sudan. Li si vede in numerosi video e foto pubblicati sui social network. È quanto varie fonti raccontano a «L’Osservatore Romano», rivelando che migliaia di minori stanno combattendo sia tra le fila dell’esercito nazionale sudanese (Saf) sia sotto le insegne dei gruppi paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf).

Le Nazioni Unite certificano che dall’aprile 2023 ad oggi sono state uccise oltre 20.000 persone. Milioni i cittadini sfollati. Il Paese è preda del colera, della fame e della disoccupazione. Intanto, in questi giorni il vescovo di El Obeid, Yunan Tombe Trille Kuku Andali, e un diacono che lo accompagnava, di ritorno da una conferenza a Juba in Sud Sudan, sono stati picchiati delle milizie antigovernative.

Le armi hanno preso il posto dei giochi nella vita di questi giovani. Quando la violenza sistematica si sostituisce all’attività libera di svago, che sviluppa le capacità emozionali, il futuro di un Paese non può che essere un quadro a tinte fosche. Considerata la situazione attuale in Sudan, adesso si può fare molto poco per contrastare il reclutamento di bambini soldato. Una conferma arriva a «L’Osservatore Romano» da nostre fonti: «Al momento la cosa più importante è che finisca la guerra e riaprano le scuole. Questo farebbe bene a tutti, soprattutto ai minori». La situazione è drammatica: «In alcune parrocchie situate in zone di conflitto abbiamo solo ragazze. I giovani maschi o si sono arruolati forzatamente o sono scappati verso la regione dei Monti Nuba e verso il Sud Sudan».

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Le violenze hanno causato almeno 11 milioni di sfollati. Una situazione grave che traspare anche dal ‘Rapporto 2023-2024: la situazione dei diritti umani nel mondo’ pubblicato da Amnesty International: «Nonostante le molteplici dichiarazioni di cessate il fuoco, i combattimenti si sono intensificati». Poi si legge: «I combattenti, soprattutto le Rsf, hanno compiuto diffusi saccheggi in case private, attività commerciali e istituzioni pubbliche, compresi ospedali, magazzini di organizzazioni».

Il documento parla di attacchi indiscriminati: «Molti civili si sono trovati in mezzo al fuoco incrociato, mentre i membri delle Saf e delle Rsf lanciavano i loro frequenti attacchi su e da quartieri civili densamente popolati” e di conseguenza “le persone sono state uccise all’interno delle loro abitazioni o mentre cercavano disperatamente di procurarsi cibo e altri beni di prima necessità».

Le parti in conflitto respingono ogni accusa in merito all’uso di bambini soldato. Tuttavia, monitorando i social network, fra aprile 2023 e febbraio 2024, giornalisti e organizzazione non governative hanno documentato oltre 200 casi di reclutamento di minori da parte delle sole milizie ribelli Rsf. «Per vedere bambini armati basta farsi un giro in auto in alcune delle principali città e si verrà fermati a un posto di blocco dell’esercito o dei ribelli, a seconda della zona in cui ci si trova», racconta una nostra fonte. Inoltre, «i video e le foto pubblicati dai ribelli fin dai primi giorni del conflitto sono molto chiari» e si vedono giovani dai 13 ai 15 anni. «Nell’esercito regolare sicuramente il fenomeno è molto più ridotto e parliamo di minori già 16 o 17 anni che facilmente possono far finta di averne 18». La verità è che «per molti ragazzi combattere è diventata un’opzione appetibile» a causa dell’alto tasso di disoccupazione e delle scuole chiuse.

Le violenze si concentrano soprattutto in alcune zone: la capitale Khartoum, la vicina regione di Gezira che è il cuore agricolo sudanese, il Darfur a ovest. In altre importanti città come Port Sudan, Atbara, Dongola, Gadaref e Kosti le conseguenze del conflitto sono soprattutto economiche: inflazione, disoccupazione, mancanza di denaro contante. «Nelle due diocesi di Khartum e El Obeid circa il 90 % dei religiosi e il 75 % dei preti diocesani ha lasciato il Paese», continuano le nostre fonti. «Molti cristiani sono fuggiti nei Paesi vicini, mentre per chi resta è difficile riceve i sacramenti. Basti pensare che a Khartoum, città da 13 milioni di abitanti dove prima si contavano 13 parrocchie, adesso ci sono solo tre sacerdoti che cercano di garantire messe sporadiche. Tuttavia, a El Obeid la chiusura delle scuole ha fatto aumentare le iniziazioni cristiane». La fine della guerra civile non sembra vicina, ma il terreno è sempre fertile per chi semina speranza. 

di Giordano Contu



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