Simona Dalla Chiesa, insieme ad altre 15 persone, è stata premiata come ‘Testimone del nostro Tempo‘ nella III Edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo con la seguente motivazione:
Figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, già Prefetto di Palermo, abbandonato dallo Stato e ucciso da Cosa nostra il 3 settembre 1982. Ha occupato ruoli importanti nelle Istituzioni: consigliera regionale in Calabria dal 1985 al 1990. Ha rappresentato il nostro Paese nel Parlamento italiano dal 1992 al 1996. Ha da sempre profuso nelle scuole italiane il suo impegno contro la ‘ndrangheta e le altre mafie, per la diffusione della Cultura della Legalità.
Simona Dalla Chiesa, già parlamentare e figlia del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Una sua impressione su questa III Edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo svolta a Cittanova?
E’ stata una iniziativa importante, molto articolata e ricca di significato, che ha portato tanti giovani a confrontarsi su tematiche delicate, nel ricordo vivo del coraggio e del sacrificio di Lea Garofalo. Davvero grazie all’Associazione Dioghenes, quindi, per aver organizzato tutti questi incontri costruiti sul filo della memoria! Tra il contributo offerto da magistrati e giornalisti sulla base dell’esperienza maturata nella vita professionale, e le testimonianze di chi ha vissuto e pagato sulla propria pelle la lotta alla mafia, le emozioni sono state molto forti e sentite, non solo tra gli studenti. Sono certa che questi incontri così partecipati lasceranno un segno nella memoria e nella coscienza di questi ragazzi, e saranno parte della loro formazione civica.
Si è parlato di legalità, di lotta alle mafie ma anche di diritti civili. Quanto sono importanti questi argomenti da trattare con le scuole?
Io credo che quando si parla di legalità e di contrasto alla mafia con i giovani, non si possa prescindere dal porre l’accento anche su parole come solidarietà, accoglienza, rispetto e impegno sociale. Il mondo in cui viviamo esalta l’egoismo, il potere, la forza e l’arroganza a discapito di chi non ha gli strumenti o la capacità di affermarsi, di chi è più fragile e quindi destinato a restare indietro. Non basta allora parlare di osservanza delle regole, ovviamente importante, ma anche di una più complessiva responsabilità civile. Un tessuto sociale così lacerato, infatti, diventa terreno fertile per la criminalità organizzata che, con la sua violenta ricerca di denaro e potere, e con la sua presenza pervasiva all’interno dell’economia e della vita istituzionale, soffoca le fondamentali libertà dei cittadini onesti. Far vivere ai ragazzi la bellezza dello stare insieme, nel rispetto dei diritti di tutti, nell’amore per la cultura e per l’ambiente, è il miglior antidoto ad ogni comportamento mafioso.
Suo padre ha rappresentato un punto di riferimento dal punto di vista investigativo, visto la lotta al terrorismo e quella alle mafie. Quale insegnamento ci lascia la figura di suo padre?
E’ vero, mio padre ha davvero costruito un modello innovativo di indagine, tanto che ancora oggi, dopo decenni e inimmaginabili progressi tecnologici, si parla ancora di metodo Dalla Chiesa. Ma in questo momento, proprio per i temi affrontati in queste giornate, voglio ricordare l’impegno che papà ha rivolto alle scuole. Quando è arrivato a Palermo, da subito ha avvertito la solitudine in cui era stato lasciato dalle Istituzioni che più di tutti avrebbero dovuto accoglierlo e proteggerlo. In quel contesto ha allora cercato la freschezza e la pulizia dei giovani, andando a parlare con gli studenti, primo Prefetto della Repubblica ad entrare in un’aula scolastica. A loro ha chiesto di impegnarsi a vivere contando sulle proprie forze, evitando scorciatoie di comodo e ha ricordato il valore del sacrificio e dell’onestà per non essere mai ricattabili. A loro ha chiesto di essere i suoi alleati nella comune sfida per una Sicilia diversa. Ha parlato come un padre e come un uomo delle Istituzioni, perché per Lui non ci sono mai state distinzioni tra pubblico e privato, non possono esserci doppie morali, da declinare secondo i propri interessi, ma un unico stile di vita che ci rende liberi. Per me è ancora oggi il messaggio più bello.
Per la prima volta a Palermo, dopo il brutale omicidio di suo padre, la società civile ha provato a ribellarsi. In questi anni si è notato un calo di questa voglia di ribellione. Come mai secondo lei?
“Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. Questa era la scritta apparsa su un foglio anonimo deposto a Palermo sul luogo del tragico attentato in cui hanno perso la vita mio padre, la moglie Emanuela e l’agente Russo. Ma non è stato così: il movimento di ribellione e indignazione, che da quel momento ha attraversato l’Italia intera, ha dato vita ad un grande movimento antimafia, coinvolgendo soprattutto i più giovani. Grandi progressi sono stati fatti nella sensibilizzazione civile contro la criminalità organizzata, e anche la vostra stessa iniziativa così partecipata lo dimostra. Però è anche vero che, purtroppo, stiamo assistendo ad un calo di attenzione collettiva. Assuefazione, senso di impotenza, incapacità di ritrovarsi uniti in nome di certi valori? Certo, sono stati raggiunti successi importantissimi nelle indagini da parte di magistrati e forze dell’ordine, ma a livello di capacità di ribellione sociale si deve registrare un disinteresse strisciante e pericoloso. Forse non si ha consapevolezza di quanto, soprattutto in silenzio, le mafie entrino nella nostra vita pubblica condizionando pesantemente economia e politica, o forse, più semplicemente, si fa finta di niente. Ancora una volta sono soprattutto le scuole, questo meraviglioso universo fatto di giovani con i loro docenti, a mantenere alto il livello di sensibilità con continui progetti e corsi formativi. A tutti loro deve andare il nostro più sentito grazie, perché tengono viva la memoria di chi ha sacrificato la propria vita per il bene comune e perché, a partire da quella memoria, provano a costruire un futuro diverso.
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