Siamo alle porte di una nuova era di alleanze ed aggregazioni, fusioni e scissioni sulla grande scacchiera del mondo bancario. Mentre oltre oceano la partita si gioca su terreni del tutto nuovi, come cripto, fintech in genere e nuovi assetti delle banche d’affari, nel vecchio continente la partita sembra avere una impostazione molto più classica, poco propensa al cambiamento e molto più incentrata sulla territorialità e sull’origine del capitale.
La messa sul mercato di una significativa quota del Monte dei Paschi da parte del governo ha segnato l’inizio delle danze, affermando definitivamente un nuovo establishment italiano ed una nuova alleanza sul piano più tecnico finanziario con Banco popolare, aprendo una via che porta sino a Washington passando per Parigi, per effetto anche delle partecipazioni dirette e indirette di Credit Agricole e BlackRock.
In un settore bancario sempre più contratto e, a mio avviso, in forte crisi d’identità, permane la strenua difesa del mercato e del raggio di azione, quando invece i nuovi sbocchi commerciali potevano essere rappresentati dalle nuove tecnologie e monete e strumenti finanziari. La posizione conservativa, con l’aggiunta della seppur giustissima politica protettiva da parte più o meno di tutti i governi verso le proprie banche nazionali, non ha certamente favorito lo sviluppo ed il cimentarsi su nuovi mercati. Dicevamo quindi, un mercato in contrazione porterà nel medio termine ad una serie di aggregazioni e guerriglie, e queste ultime prevarranno sulle alleanze aventi lo scopo di conservare le proprie posizioni piuttosto che sviluppare nuovi mercati.
La prima espressione di guerriglia interna al mercato italiano si è manifestata nel mese di novembre con l’offerta pubblica di scambio promossa da Unicredit su Banco Bpm. Uno scambio bocciato da Banco Bpm perché ritenuto non congruo e di non interesse allo sviluppo della banca stessa. Va aggiunto che qualsiasi analista di media bravura, senza arrivare alle puntigliose analisi che il CDA dell’erede del Banco Popolare può aver fatto, avrebbe capito che quell’operazione non sarebbe mai stata efficace, e forse nemmeno possibile. Le acquisizioni si fanno generalmente in modo verticale, per profittare di più sulla catena del valore, o in orizzontale quando si hanno mire espansionistiche o di diversificazione.
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L’operazione in questione invece era una perfetta sovrapposizione, che avrebbe dato sicuramente una sommatoria di valori ma che non avrebbe portato nulla di nuovo nella strategia e nell’espansione della nuova entità. Non possiamo certo pensare che l’offerta pubblica di scambio sia stato un atto di leggerezza da parte di Unicredit, va quindi pensato il fine di questa sottile e apparentemente maldestra mossa. Vi era veramente il disegno di una integrazione o di un intreccio finanziario tra i vari azionisti transnazionali, o semplicemente si sono fatte le prove generali per vedere come governo e mercato reagirebbero ad un disegno di polarizzazione bancaria a regia transnazionale?
Unicredit avrebbe voluto veramente fare un operazione senza averla concordata preventivamente con Banco Bpm avente per oggetto il delisting di Banco Bpm e la fusione tra le due banche? Ad ogni modo, il mercato su questa veramente poco credibile ipotesi ha premiato Banco Bpm, facendo salire il valore del titolo e buttando giù Unicredit, rendendo inefficace l’OPS ostile…ed il mercato ha sempre ragione! Nelle prossime puntate capiremo il vero disegno di Unicredit, certi però che il popolo prima ed il mercato poi sono sovrani, e che forse hanno già dato dimostrazione di gradire poco le grandi aggregazioni.
Il nostro Paese ha una tradizione ed una cultura fatta di grandi banche nazionali, ma con un ecosistema fatto di piccole casse rurali, artigiane, cooperative radicate sul territorio che rappresentano ancora l’identità di questo Paese e l’espressione della cultura bancaria a servizio del piccolo imprenditore e del buon padre di famiglia che in quella banca conserva il futuro dei suoi figli. Il nostro Bel Paese si è sempre dimostrato accogliente verso i capitali esteri, anche rendendosi conto che le nostre banche ed il tesoretto degli italiani fanno più gola delle aziende che con i giusti capitali potrebbero svilupparsi, e a differenza di altri governi (vedi il caso Commerzbank) è stato sempre molto aperto e permissivo. Ma un conto è essere accogliente, un altro è diventare terra di conquista… e questo il mercato lo comprende e di conseguenza si difende. Che ne sarà delle banche per come le conosciamo oggi nel prossimo futuro? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma alcuni elementi sono evidenti…la battaglia geo-bancaria è iniziata, ed il nuovo risiko è in composizione: l’elezione di Trump, la chiamata di Bessent all’economia (uomo della finanza degli edge), la battaglia commerciale USA – Cina e la riconferma di von der Leyen alla guida dell’Europa, nonché lo scenario mondiale ancora non definito, anche a causa dei conflitti in corso, sono tutte condizioni che alimentano la voracità finanziaria tra i diversi attori, espressione anche di diversi pensieri politici.
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