Pensioni, queste persone prendono meno soldi nel 2025. Ecco perché

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Tagli delle pensioni in vista? Non proprio: ma ci sono diverse ragioni per cui il prossimo anno potrebbe scattare una riduzione della pensione percepita, per quanto comunque vi tranquillizziamo dicendo che si tratta di casi particolari. Nella generalità dei casi potete quindi stare sereni del fatto che nessuno vi toccherà la pensione già liquidata, anzi a gennaio 2025 scatterà persino un aumento per effetto della rivalutazione, ossia quel meccanismo con cui gli importi vengono annualmente adeguati al costo della vita.

Chi allora rischia di prendere meno soldi nel 2025? Le ragioni sono diverse e vanno dalla perdita delle maggiorazioni sociali, ad esempio per aver superato il reddito, alla riduzione della pensione di reversibilità, senza dimenticare poi l’ipotesi che in caso di creditori scatti il pignoramento dell’assegno.

A tal proposito, proprio per effetto della rivalutazione che non solo adegua gli importi degli assegni ma anche le varie soglie entro cui stare per non evitare tagli, è necessario un aggiornamento di tutte quelle circostanze che nel 2025 possono portare a una riduzione della pensione.

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Taglio della pensione se inizi a lavorare?

Va detto che a differenza di qualche anno fa, oggi non rischia una riduzione della pensione chi inizia a lavorare. Dal 2009, infatti, le pensioni di vecchiaia (tra cui è compresa la pensione anticipata), anche quando calcolate interamente con il contributivo, sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente.

Ci sono però delle eccezioni, per le quali quindi l’avvio di un’attività lavorativa può comportare un taglio dell’assegno. Permangono invece dei limiti per:

  • le pensioni di invalidità e gli assegni di invalidità di importo superiore al trattamento minimo liquidati con meno di 40 anni di contribuzione, e in presenza di reddito da lavoro dipendente che superi il trattamento minimo annuo;
  • le pensioni di invalidità e gli assegni di invalidità di importo superiore al trattamento minimo liquidati con meno di 40 anni di contribuzione, con decorrenza successiva al 31 dicembre 1994, e in presenza di reddito da lavoro autonomo che superi il trattamento minimo annuo;
  • le pensioni di anzianità liquidate a favore di lavoratori che trasformano il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

A tal proposito, è bene sapere che nel 2025, per effetto della rivalutazione, il trattamento minimo dovrebbe salire a 603,39 euro. La trattenuta è giornaliera e pari al 50% della quota che supera il trattamento minimo nel caso di reddito da lavoro dipendente, mensile, e pari al 30%, per reddito da lavoro autonomo.

Come pure nel caso degli iscritti alla Gestione dipendenti pubblici, per i quali il divieto di cumulo opera per i trattamenti pensionistici di inabilità. In questi casi il cumulo con i redditi da lavoro è consentito nella misura del 70% in caso di lavoro autonomo, 50% se subordinato.

Ricordiamo poi che ci sono prestazioni che non sono per niente cumulabili con redditi da lavoro (con la sola eccezione delle prestazioni occasionali rese entro il limite annuo di 5.000 euro). Ci riferiamo a Quota 41 e Quota 103, per le quali l’avvio di un’attività lavorativa comporta la sospensione dell’assegno, il cui pagamento riprenderà solo al termine del periodo di anticipo (quindi al raggiungimento dei 67 anni, età per la pensione di vecchiaia).

E ancora, eccetto il caso del coniuge superstite con figli a carico, l’avvio di un’attività lavorativa può comportare la riduzione della pensione di reversibilità. Tra le 3 e le 4 volte il trattamento minimo, ossia nella parte che va da 23.532,21 a 31.376,28 euro, la pensione di reversibilità percepita viene decurtata del 25%, mentre tra le 4, 31.376,28 euro, e le 5 volte, 39.220,35 euro, la decurtazione è del 40%. Infine, superando anche questa soglia è del 50%.

La perdita delle maggiorazioni sociali

L’avvio di un’attività lavorativa, come pure aver acquisito una seconda entrata mensile (si pensi ad esempio a chi percepisce l’affitto di un immobile) può comportare però la perdita delle maggiorazioni sociali nei casi in cui il pensionato ne abbia diritto.

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Sono tre le prestazioni più rilevanti:

  • l’integrazione al trattamento minimo, spettante a chi ha una pensione di importo inferiore alla soglia minima annualmente prevista (che come visto sopra nel 2025 sarà pari a 603,39 euro). Ma non basta, tutti i redditi del pensionato devono essere inferiori all’importo annuo del trattamento minimo – 7.844,07 euro – per avere diritto all’integrazione. Per chi sta sopra questa soglia, ma resta dentro i 15.688,14 euro (2 volte la soglia minima), l’integrazione spetta ma in misura parziale. E attenzione, perché si guarda anche ai redditi del coniuge. L’integrazione spetta in misura piena, infatti, solo se il reddito coniugale resta dentro le 4 volte il trattamento minimo – 31.376,28 euro – mentre sopra questo valore ma sotto le 5 volte – 39.220,35 euro – l’integrazione è parziale;
  • incremento al milione, del valore mensile di 136,44 euro, che spetta a chi oltre ad avere una pensione inferiore al minimo ha un reddito individuale oggi pari a 9.555,65 euro, mentre per quello coniugale la soglia è di 16.502,98 euro. I valori aggiornati al 2025 dovranno essere presto ufficializzati dall’Inps, ma non sono comunque molto lontani da questi;
  • quattordicesima, con importo che nel migliore dei casi può arrivare a 655 euro ma che spetta solamente a chi ha un reddito che non supera di 2 volte il trattamento minimo, quindi fino a 15.688,14 euro. È sotto 1,5 volte il trattamento minimo però che spettano gli importi più alti, quindi fino a 11.766,10 euro.

Quindi, tutti coloro che in questi mesi hanno beneficiato di un aumento del reddito personale, o coniugale, che ha comportato il superamento delle suddette soglie, rischiano una riduzione della pensione nel 2025.

Il pignoramento

L’ultima fattispecie è quella del pensionato con debiti. Nel caso in cui il giudice abbia autorizzato il pignoramento presso terzi allora la pensione verrà aggredita dai creditori fino a quando il loro credito non verrà compensato.

Per il pignoramento della pensione ci sono però dei limiti ben precisi. La regola vuole che al pensionato va garantito un importo pari a 2 volte l’Assegno sociale, il cosiddetto minimo vitale. Considerando il valore aggiornato al 2025, quindi, 1.077,36 euro sono sempre garantiti. Della parte che eccede questo valore ogni debitore può averne al massimo il 20% (1/5).



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