La Calabria è ai primi posti per agricoltura biologica, ma la maggior parte dei prodotti vengono venduti fuori regione. La Calabria, infatti, il 36,3% della superficie agricola utilizzata è bio, a fronte di una media nazionale pari al 17,4%.
Dati, questi, che dovrebbero portare la Calabria a «puntare sull’agroecologia, che è capace anche di salvaguardare un territorio idrogeologicamente instabile come quello regionale e dovrebbe sviluppare strategie per valorizzare ed incrementare la produzione dei propri prodotti biologici oltre a migliorare i meccanismi di distribuzione e commercio che incentivino il lavoro di qualità», ha detto Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria, nel corso della presentazione del dossier “Stop pesticidi nel piatto”, sottolineando come la presentazione del dossier «è un’occasione per riflettere anche in Calabria, su sistemi alimentari più sani, equi e rispettosi dell’ambiente e della salute umana».
«L’agricoltura biologica – ha detto la presidente – costituisce una risposta sia dal punto di vista della tutela delle risorse naturali e della biodiversità sia per la sua maggiore capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici».
Dal report è emerso come su 5.233 campioni di alimenti analizzati, provenienti sia da agricoltura convenzionale che biologica, emerge una percentuale di irregolarità pari all’1,3%.
Una cifra contenuta ma non di certo rassicurante. Il 41,3% dei campioni, infatti, presenta tracce di uno o più residui di fitofarmaci. Di questi, il 14,9% è classificato come monoresiduo, mentre il 26,3% rientra nella categoria multiresiduo, sollevando preoccupazioni significative. Infatti, la presenza di molteplici residui in un unico alimento può generare effetti additivi e sinergici, con potenziali danni per la salute umana.
Tra gli alimenti più colpiti spicca la frutta, con il 74,1% di campioni contaminati da uno o più residui. Seguono la verdura (34,4%) e i prodotti trasformati (29,6%), con i peperoni (59,5%), seguiti da cereali integrali (57,1%) e dal vino (46,2%).L’uso di insetticidi e fungicidi, come Acetamiprid,Boscalid, Flu
Altri ritrovamenti risultano emblematici: un campione di peperoncini ha mostrato la presenza di ben 18 residui diversi, mentre in due campioni di pesche sono stati rilevati rispettivamente 13 e 8 residui.
Eppure, non mancano segnali incoraggianti. Nel settore dei prodotti trasformati, l’olio extravergine di oliva si distingue con altissime percentuali di campioni privi di residui, a conferma della sua eccellenza e del rigore produttivo che caratterizza questa filiera.Anche il vino mostra un trend in positivo: il 53,1% dei campioni analizzati è risultato privo di residui, segnando un miglioramento rispetto al 48,8% dell’anno precedente. Piccoli ma importanti passi in avanti verso una maggiore sostenibilità e qualità. Nonostante ciò, il deterioramento registrato nel comparto della frutta nel 2023 racconta un’altra storia. Le condizioni climatiche, segnate da piogge abbondanti e temperature miti, hanno favorito la proliferazione di micopatologie, costringendo gli agricoltori a un uso massiccio di anticrittogamici per salvare i raccolti.
Altro dato allarmante è quello sui sequestri dei pesticidi illegali. Quasi raddoppiati nel 2023 i pesticidi illegali sequestrati in Europa: 2.040 tonnellate di veleni fuorilegge intercettati dall’Europolgrazie all’operazione “Silver Axe”, sviluppata in Italia dai Carabinieri forestali. Impressionante l’escalation rispetto alla prima operazione fatta nel 2015, quando i sequestri dei pesticidi messi al bando in Europa per la loro pericolosità per la salute erano stati pari a 190 tonnellate. La Cina rimane il primo paese di origine di questi prodotti ma dalle indagini stanno emergendo traffici importanti dalla Turchia.
Numeri e dati che hanno portato l’Associazione a ribadire l’appello di ridurre l’uso di fitofarmaci, non più solo un obiettivo auspicabile, ma una condizione necessaria per salvaguardare l’ambiente, la salute umana e la qualità delle produzioni. Ricordando che l’agroecologia è l’unica via per tutelare gli ecosistemi e contrastare le conseguenze dei cambiamenti climatici. Buone pratiche come rotazioni, sovesci, consociazioni, abbinate all’uso di strumenti digitali e tecniche innovative, possono offrire un modello più sostenibile per il futuro del settore. Di contro, decisioni come quella europea di rinnovare l’autorizzazione al Glifosato per altri dieci anni rappresentano ostacoli significativi alla transizione ecologica, soprattutto considerando l’efficacia ormai comprovata di alternative sostenibili sia dal punto di vista agronomico che economico, come l’acido pelargonico.
«Il quadro che emerge dai dati è preoccupante – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – ma, allo stesso tempo, rappresenta un’opportunità per riconsiderare il nostro modello agricolo. La mancata adozione sia del Regolamento europeo sull’uso sostenibile dei fitofarmaci (SUR) che di un nuovo Piano di Azione Nazionale (PAN), fermo alla versione del 2014, è un freno inaccettabile per il processo di transizione verso un’agricoltura più sicura e sostenibile. È altresì urgente introdurre una norma che regolamenti il multiresiduo per limitare l’accumulo di più pesticidi in un singolo prodotto alimentare, con il rischio di effetti dannosi per la salute umana».
«Anche il Piano Strategico Nazionale (PSN) per l’attuazione della Pac, pur presentando alcuni segnali positivi – ha proseguito – non sta ancora offrendo i risultati sperati. A quasi un anno dalla sua implementazione, emergono, infatti, difficoltà che ne rallentano l’efficacia, soprattutto rispetto alla diminuzione degli impatti di agricoltura e zootecnia intensive. Sono comunque apprezzabili i passi verso pratiche agricole sostenibili, a partire dall’introduzione degli ecoschemi per la protezione degli impollinatori e gli investimenti nel biologico, fondamentali per aumentare la Superficie Agricola Utilizzata (Sau) e incentivare la nascita di biodistretti».
«Tuttavia – ha concluso – è necessario fare di più, soprattutto per supportare le piccole e medie imprese agricole, garantire un accesso equo alle risorse e promuovere un uso intelligente dei fondi europei, per favorire la transizione verso una produzione alimentare sempre più sana, sostenibile e decarbonizzata».
Per Angelo Gentili, responsabile Agricoltura di Legambiente, «una delle risposte all’allarme relativo all’uso dei fitofarmaci e alla necessità di ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura è sicuramente l’agricoltura biologica, che rappresenta un modello virtuoso di transizione ecologica per le filiere produttive. Basti pensare che i residui nei prodotti biologici sono pochissimi (7% dei campioni analizzati) e dovuti presumibilmente alla contaminazione accidentale».
«L’Italia – ha ricordato – continua a essere un leader europeo con 2,5 milioni di ettari coltivati a biologico, pari al 19,8% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU). Tuttavia, per incentivare una crescita maggiore di questo settore e colmare il divario tra domanda e offerta, è fondamentale introdurre strumenti che facilitino i consumatori (bonus per le categorie più fragili, mense bio in ospedali, scuole e università) e riducano i costi per i produttori, a partire dalla certificazione, favorendo l’accesso a pratiche agricole sostenibili».
«Oltre a questo, l’altra proposta cruciale – ha concluso – riguarda l’approvazione di una legge contro le agromafie, che costituiscono una minaccia diretta alla legalità e alla sicurezza delle filiere agroalimentari, alimentando fenomeni come l’utilizzo di pesticidi illegali, il caporalato e i reati ambientali. La protezione del lavoro agricolo e la tutela dell’ambiente devono essere una priorità per costruire un futuro più sano, sostenibile e giusto». (ams)
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