Foodprint, lo strumento per calcolare l’impatto ambientale delle ricette

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Un corso di formazione per 164 chef europei

Foodprint è solo uno dei risultati raggiunti. In tre anni, il progetto Life Climate Smart Chefs ha impegnato 164 cuochi provenienti da tutti i 27 paesi Ue, di cui 63 italiani, fornendo loro oltre 250 ore di formazione online e in presenza. La ristorazione professionale e gli chef hanno un impatto diretto e sempre più forte sull’alimentazione quotidiana – basti pensare a quanto spesso si mangia fuori casa – ma sono anche fonte d’ispirazione per la scelta di ingredienti e stili di cucina, e in generale, ambasciatori di cultura del cibo. L’obiettivo era trasformare questi professionisti in promotori di diete a basse emissioni, nutrienti e convenienti, che potranno applicare concretamente nei ristoranti, nelle attività e nelle mense in cui lavorano.
Il progetto ha chiesto agli chef di fornire sei ricette che maggiormente li rappresentavano nella fase di iscrizione al corso di formazione. Di ognuna è stato calcolato il reale impatto climatico: oltre una ricetta su tre superava almeno di sei volte il valore ideale e, da sola, corrispondeva alla quantità totale di CO2 che si dovrebbe associare a un’intera giornata alimentare. Le ricette sono poi state rielaborate dagli stessi chef che le avevano proposte per soddisfare lo standard di sostenibilità medio di un menu a basso impatto.
Educazione e Tecnologia

Oltre ai corsi, l’esperienza sul campo si è tradotta in un documento di dieci punti. Un decalogo per mettere in pratica la sostenibilità nel settore della ristorazione partendo dall’approvvigionamento e dalla progettazione dei menu, fino alla comunicazione con i clienti e la comunità in cui si lavora. Continua Antonelli: «È il risultato di un anno di workshop che hanno coinvolto chef, associazioni, esperti del settore gastronomico e ambientale, oltre al nostro advisory board che comprende, fra gli atri, la chef stellata Chiara Pavan e il professor Riccardo Valentini, premio Nobel per la Pace nel 2007 e membro dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, il gruppo scientifico delle Nazioni Unite dedicato allo studio del riscaldamento globale. Si tratta di un documento che vogliamo portare ad appuntamenti anche di natura istituzionale». Antonelli sottolinea che servono incentivi e supporto al settore della gastronomia, per ridurre nel breve termine l’impatto di questi cambiamenti e tradurlo in opportunità di business. Lo chef è potenzialmente un game changer, si trova nella posizione strategica fra fornitori e sistema delle filiere e consumatori». Come farlo, concretamente? «Attraverso educazione mirata e l’uso della tecnologia. Si deve aumentare l’accessibilità alla formazione su questi temi, che però ha solitamente un’importante barriera di accesso, soprattutto economica. E va creato un collegamento a monte e a valle del menu: acquisti, sprechi, uso dell’energia. Ogni chef dovrebbe avere a disposizione un sistema tecnologico che consenta a tutti questi elementi di parlare tra di loro, per restituire una visione completa del suo lavoro quotidiano».

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I prossimi passi

Antonelli racconta che è stata attivata una rete fra gli chef che hanno partecipato al corso e che «ognuna delle organizzazioni partner del progetto, continuerà a investire tempo e risorse nel far sì che questo si evolva e che la rete di chef coinvolti cresca, attraverso le associazioni di categoria e le scuole di formazione. L’obiettivo è anche sviluppare un sistema di tracciamento dei risultati che gli chef hanno ottenuto, applicando concretamente quanto imparato nei loro menu. Va creato un movimento di trasformazione: più questo è inclusivox, connesso al territorio e alle persone, e più sarà di successo».

L’impatto del singolo sui sistemi alimentari

Muoversi verso un’alimentazione più consapevole è la singola azione più impattante che ognuno può fare per ridurre il proprio impatto sul Pianeta. Il sistema agroalimentare contribuisce a circa il 37% delle emissioni globali di gas a effetto serra, ma un recente studio pubblicato su Nature Climate Change rileva che anche la quantità e la tipologia di ciò che mangiamo, oltre al luogo in cui l’alimento viene prodotto, determinano enormi differenze nelle emissioni. La ricerca analizza 140 prodotti in 139 Paesi e rileva che, adottando i parametri della dieta EAT-Lancet, è possibile ridurre la Co2 associata al comparto del 17%, limitando il consumo di carne e latticini e aumentando quello di legumi e frutta secca come principali fonti proteiche. Gli autori dello studio si sono concentrati sul 56% della popolazione mondiale che consuma cibo in eccesso: intervenendo su questo cluster le emissioni del sistema alimentare calerebbero di circa il 32,4%.

Podio tutto italiano per i premi Climate Smart Chefs

Il premio per il “miglior ristorante sostenibile” è andato allo chef Amabile Cortiglia di Ristolab, a Pollica, per “il focus sull’uso di ingredienti stagionali, indigeni e selvatici della Regione del Cilento, preparati con tecniche a zero spreco, che preservano e riscoprono antiche tradizioni locali, coinvolgendo attivamente la comunità”, si legge nelle motivazioni. Secondo e terzo posto sono stati assegnati rispettivamente allo Chef Telmo Neto (del ristorante Vilaplana di Porto, in Portogallo) e allo Chef René Bekker (del ristorante Novice di Amersfoort, nei Paesi Bassi).
Il pastry chef Matteo Farsoni di Valduggia, in Piemonte, è stato premiato per la “miglior ricetta sostenibile”, ovvero due piatti vegetariani realizzati con ingredienti locali, a basso costo e impatto ambientale, e facilmente replicabili modificando gli ingredienti in base alla stagionalità e disponibilità. Secondo e terzo posto in questa categoria sono stati assegnati alla chef cipriota Evi Chioti e allo chef Nazario Contardi.
Il premio per la “migliore iniziativa no-profit”, è andato al progetto Orizzonte Sale, di Venezia, incentrati sul potenziale edibile delle halofite – piante capaci di prosperare in ambienti salini – come strumento di adattamento ai cambiamenti climatici realizzato dallo scienziato ambientale Filippo Grassi, dalla designer e ricercatrice Lodovica Guarnieri e dallo chef e ricercatore Lorenzo Barbasetti di Prun, in collaborazione con una rete di agricoltori e professionisti gastronomici. Secondo e terzo posto sono stati assegnati rispettivamente al network @worldchefs e all’associazione Tempi di Recupero, focalizzata sulla valorizzazione del recupero gastronomico.



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