“Eolico offshore ad Augusta”. I perché di una buona notizia

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Se proviamo ad immaginarci il mondo del domani guardandolo dal punto di vista energetico, secondo le indicazioni delle maggiori agenzie internazionali del settore, lo dobbiamo immaginare assetato di elettricità. Se oggi, a fronte di una richiesta mondiale di energia totale primaria pari a circa 170.000 TWh (terawattora), solo il 17 – 20 % viene distribuito come energia elettrica, nel 2050 l’energia elettrica lanciata in rete peserà oltre il 50% dell’energia primaria totale richiesta nel mondo.

Questo perché, con la progressiva riduzione dell’uso dei combustibili fossili, si ricorrerà sempre più a forme di produzione di energia che daranno direttamente come prodotto primario l’energia elettrica; principalmente il solare e l’eolico (vedi scheda 1).

L’energia elettrica è anche la più nobile forma di energia dal punto di vista della facilità della sua trasformazione in energia cinetica. Un motore elettrico converte l’elettricità in movimento con una resa del 90% mentre un motore a combustione ha rese basse che variano dal 30 % (benzina) al 40 % (gasolio).

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L’energia elettrica viene anche utilizzata per il riscaldamento degli ambienti con le pompe di calore che a fronte di un KWh di energia elettrica consumata ne restituiscono ben 3 o 4 KWh in forma di calore; un grosso salto in avanti rispetto al riscaldamento a gas.

Sono queste le ragioni che in estrema e molto semplicistica sintesi hanno spinto le Nazioni Unite e l’Europa a puntare sulle energie rinnovabili dando priorità al solare ed all’eolico per produrre direttamente energia elettrica. Tolti i fossili per ragioni ambientali, e prima o poi di scarsa disponibilità, si darà preferenza nell’ordine a: Solare, eolico, idroelettrico, nucleare e geotermico.

Nella lista mancano il tanto discusso idrogeno ed i biocombustibili che sono solo vettori di energia e non fonti di energia (Scheda 2 per definizione); questi non si trovano in natura e si devono produrre con impianti ad hoc, consumando energia che nel futuro sarà in larga parte elettrica rinnovabile.

Potendo disporre direttamente di elettricità, risulta evidente come in prima battuta non convenga usarla per produrre biocombustibili e idrogeno che poi dovranno essere trasformati in energia di movimento in motori a basso rendimento o nuovamente in energia elettrica nelle celle a combustibile delle auto a idrogeno. I combustibili liquidi rinnovabili non saranno però inutili ma necessari solo in quelle applicazioni dove per ragioni tecniche l’elettricità non potrà essere utilizzata (scheda 3).

Alla luce di quanto sopra sarà necessario entro il 2050 quintuplicare nel mondo la capacità di produzione elettrica installata, rendendola nel contempo quasi tutta rinnovabile; in Italia, posizionata meglio di altre nazioni, si parla di incremento pari a tre quattro volte in valore attuale.

Le fonti di energia rinnovabile utilizzate per produrre energia elettrica alla fonte saranno all’incirca così composte: Solare 40 %, eolico 35%, idroelettrico 10 %, nucleare 4 %, fossile 5%, 6 % mix altro. Se invece proviamo a immaginare i consumi degli utenti finali, quindi i vettori consumati, scopriremmo che si parla all’incirca di un 55 % di elettrico, 10% di biocombustibili, 20 % di idrogeno e derivati, 10 % fossili, 5% altro.

Da quanto sopra si comprendono sostanzialmente due cose: 1) per produrre energia giocheranno un ruolo pesantissimo le fonti solare ed eolico, 2) per distribuire energia si darà preferenza all’elettrico lasciando un 10% ai biocombustibili e un 20% ai derivati dell’idrogeno (sostanzialmente per uso industriale).

Il quadro che ne viene fuori, per la politica che deve indirizzare gli investimenti pubblici e privati, è in maniera abbastanza chiara la necessità di portare ogni sforzo sull’elettrico con interventi che massimizzeranno la costruzione di centrali eoliche, solari, idroelettriche, geotermiche, proposte per centrali nucleari di nuova generazione, investimenti per la crescita e l’ottimizzazione della rete di distribuzione elettrica nazionale, diffusione capillare delle colonnine di carica elettrica per l’autotrazione leggera e pesante.

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In seconda battuta, senza sottovalutarli, si dovranno stabilire con attenzione i possibili consumi e la tipologia di utilizzo dei biocombustibili e dei derivati dall’idrogeno. Questa valutazione non è marginale perché, senza definire con certezza quali clienti consumeranno questi vettori combustibili rinnovabili e in quale quantità, non sarà possibile per gli investitori definire solidi piani di costruzione e investimento per realizzare impianti di cui non si conosce la dimensione necessaria. E’ un problema che la generazione elettrica non ha, visto che sono prevedibili con una qualche approssimazione sia le domande che le nuove tipologie di consumo (vedi ad esempio la mobilità elettrica).

Lo Stato Italiano, ad oggi, non ha stabilito un piano nazionale strategico che definisca la più opportuna distribuzione sul territorio nazionale delle centrali di produzione, delle modalità di produzione dei vettori necessari, dei siti industriali strategici per la raffinazione di materie prime per l’elettrico e per i componenti elettronici, dei siti di costruzione delle batterie, dei siti di recupero e trasformazione dei rifiuti in materia prima e o energia, dei centri di produzione di idrogeno e biocombustibili; piuttosto sono stati emessi decreti, leggi, e bandi per mettere in competizione tra loro le Regioni in grado di produrre le migliori e più opportune offerte per ogni singola tecnologia. Questo procedere nasconde dei rischi, il primo fra tutti quello di lasciare morire siti industriali esistenti perché su di essi non sono state fatte valutazioni sui rischi occupazionali legati alle chiusure dei vecchi impianti con assenza quindi di proposte progettuali congruenti sia col piano nazionale che con le esigenze di sopravvivenza del territorio. E’ quello che sta succedendo nel “siracusano” che vede un timido fiorire di proposte sconnesse tra loro, tra piccoli centri di produzione di idrogeno verde, idee di conversione di grandi impianti chimici e di raffinazione in piccole o medie bioraffinerie, tutte timide proposte portate avanti dai privati nel tentativo scomposto di agganciarsi al treno della transizione e mascherare lo spettro di chiusura; solo proposte al momento, in apparente o paventata assenza di determinazioni concrete.

E’ in questo contesto che assume una bella e forte luce il progetto di utilizzare la rada di Augusta quale sito per la costruzione di piattaforme offshore per il solare eolico; per la ragioni sopra esposte si tratta di un genere di industria con forti probabilità di successo produttivo e occupazionale. Nel suo articolo del 30 Novembre 2024 “La Sicilia” così anticipava la notizia: “Il porto di Augusta è stato indicato in via prioritaria come base strategica nazionale per la costruzione degli impianti eolici offshore nel Mediterraneo. A sbloccare la scelta, secondo fonti molto attendibili, è il decreto del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica…..”. Con articolo successivo “La Sicilia” aggiungeva informazioni occupazionali sostenendo che la filiera produttiva nascente avrebbe portato “lavoro stabile a 27000 figure professionali per i prossimi 30 anni” (fonte Associazione Aero).

Non sono chiare le basi di calcolo di questo numero (n.d.r, a onore del vero sembra alquanto ottimistico se paragonato agli attuali livelli occupazionali di tutta la zona industriale), che comunque dipenderà fortemente degli sviluppi futuri della filiera; se oggi comprendiamo che si possono sfruttare le conoscenze e la professionalità delle industrie metalmeccaniche e cantieristiche locali per assemblare le piattaforme, ulteriori incrementi occupazionali si aspettano dal successo nell’aggiudicarsi le prime gare per l’installazione delle piattaforme nel canale di Sicilia e successivamente da quanto si riuscirà a fare nell’intero mediterraneo. Con la prospettiva di costruire in loco anche generatori e pale eoliche, pur se oggi questo non è previsto né programmato.

Benefici infine per il porto di Augusta e tutto il suo indotto che si avvia a diventare così un hub logistico strategico a livello nazionale.

SCHEDA 1

Questa energia generata dall’ambiente “varrà” inoltre moltissimo perché nascerà direttamente come energia elettrica, sia che si parli di pannelli solari sia che si parli di pale eoliche. Cosa vuol dire questo? Se oggi per mandare in rete 500 MWh (megawattora) di elettricità con una centrale tradizionale fossile bisogna bruciare una quantità di combustibile tale da contenere all’interno della sua massa 1000 MWh, un domani con le energie provenienti direttamente dall’ambiente (esclusi quindi biocombustibili e combustibili sintetici che necessitano di una costosa lavorazione per esistere in quanto tali) si produrrà e si invieranno in rete direttamente 500 TWh di energia. Questo perché per produrre elettricità dal fossile si usa il processo termico di combustione che è a bassissima resa e costringe a riversare e perdere nell’ambiente la metà dell’energia in forma di calore.

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SCHEDA 2

C’è differenza tra “fonti di energia” e “vettori di energia”; una fonte di energia è una qualsiasi risorsa naturale o artificiale da cui si può ottenere energia per svolgere attività, un vettore di energia è invece una forma di energia che si presta ad essere immagazzinata e/o trasportata. Ad esempio, l’energia eolica è una fonte di energia che usando opportuni generatori produce il vettore energia elettrica che può essere trasportata e accumulata in batterie.

SCHEDA 3

Per gli aerei a reazione sarà necessario utilizzare sempre il kerosene che potrà essere biologico o sintetico, ed in molte industrie quali le acciaierie o la chimica saranno necessari sempre e comunque i combustibili liquidi o gassosi per i loro processi chimico industriali. Per le grandi navi da lunghe percorrenze non si potrà pensare di usare l’elettricità per ragioni di autonomia. Non sempre sarà possibile usare l’elettricità.



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