di Maurizio Sacchi
La guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente, mentre le vittime le fanno in terra, si combattono in gran parte a partire dall’aria. Cacciabombardieri, missili e -la grande novità- i droni, sono i protagonisti di questa modalità di guerra, su cui si investono migliaia di miliardi di dollari, e con scenari futuri sempre più sofisticati e minacciosi. Il 15° China Airshow, svoltosi dal 12 al 17 novembre 2024 a Zhuhai, ha presentato per la prima volta un’ampia gamma di nuovi equipaggiamenti e velivoli a disposizione dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA). Tra questi, una versione aggiornata dell’elicottero Harbin Z-20 e l’attesissimo caccia stealth J-35A, diretto concorrente dell’F-35 americano, mentre la Russia ha presentato il suo nuovissimo aereo da guerra stealth, il Su-57. Circa 600mila visitatori hanno affollato la fiera, e secondo i dati forniti dai media ufficiali cinesi, il giro d’affari é stato di 38,7 miliardi di dollari.
La novità di spicco è l’avvento dell’intelligenza artificiale -AI- che è entrata ora nella cabina di pilotaggio dei jet da combattimento. E un ulteriore sviluppo dei droni aerei. Oltre che aiutare il pilota, ampliandone la visione e la percezione degli obbiettivi e delle minacce, l’AI é in grado di guidare stormi di droni al seguito del velivolo, come mastini da guerra al lato del cavaliere medioevale, e assistendo il pilota come sensori, tiratori, portatori di armi. Il cinese J-20S, che è stato esposto sotto forma di modello in scala a Zhuhai, è un jet da combattimento biposto che consente al secondo pilota di controllare la collaborazione tra il jet e un drone gregario, l’ FH-97A, che può eseguire la soppressione della difesa aerea, condurre ricognizioni ravvicinate e impegnarsi in attività di interferenza. A Zhuhai, l’esercito cinese ha presentato anche un nuovo drone “pesante”, soprannominato “swarm carrier” per la sua capacità non solo di trasportare un caico utile di missili e bombe, ma anche altri droni più piccoli.
E’ in atto, a livello globale, una corsa e una competizione per la supremazia aerea. Negli Usa, é pronto il Defense Operations Grid-Mesh Accelerator (Dogma), un sistema basato sull’ AI sviluppato da Gdic e testata con successo dalle forze armate di Washington durante l’evento Technology Readiness Experimentation (comunemente noto come Trex) svoltosi lo scorso agosto a Camp Atterbury, in Indiana. Dogma gestisce i dati disponibili, raccolti da radar, satelliti e droni, anche se l’analisi e l’integrazione rapida di queste informazioni rappresentano una sfida significativa, soprattutto in ambienti dove gli avversari utilizzano tecniche di jamming per disturbare le comunicazioni. Dogma mira proprio a gestire questa problematica, garantendo un rapido trasferimento dei dati lungo il cosiddetto “primo miglio”, la zona più critica vicino alle linee del fronte dove un attore ostile concentra gli sforzi per bloccare ogni possibile comunicazione. Dogma utilizza un’ampia rete di sensori e analizza i diversi percorsi di comunicazione disponibili, scegliendo il migliore per trasferire i dati. Il sistema può operare attraverso un’ampia gamma di connessioni, dai radio portatili fino ai satelliti in orbita bassa o geostazionaria. Una volta superato il “primo miglio”, Dogma trasferisce i dati al cloud, utilizzando percorsi commerciali sicuri e dedicati, come ad esempio le infrastrutture di Amazon Web Services. Si tratta insomma di un sistema volto a individuare velivoli nemici, e ad abbatterli grazie alla guida esercitata dalla intelligenza artificiale.
A quanto pare, tutto ciò ha a che fare con Taiwan. Dogma avrebbe l’obbiettivo principale e immediato di respingere un attacco cinese. E l’isola non ha solo un valore simbolico, ma, essendo il principale produttore mondiale di microchip, i neuroni e il sistema nervoso di tutte queste sofisticate nuove armi, e anche di tutto il sistema di comunicazione e controllo globale, é anche una preda vitale in un contesto di conflitto planetario, che pare imminente. E forse la recentissima crisi della Corea del Sud, altro grande produttore di microchip, ha sullo sfondo proprio la sua importanza strategica in questo settore nevralgico.
Ma quanto costa tutto questo? Il costo unitario dei droni “Reaper” (aerei spara missili) é di 10,5 milioni di dollari americani. Il drone Bayraktar TB2 di fabbricazione turca é relativamente economico, ma è comunque “abbastanza buono” per svolgere ruoli di missione e più facile da sostituire a causa dei bassi costi e delle parti a doppio uso. Un drone TB2 costa circa 1-2 milioni di dollari, ben lontano comunque dai 20 milioni di dollari a unità spesi dal Regno Unito per i droni Protector costruiti negli Stati Uniti. l’attuale costo per un F35 Lightning II è di 77,9 milioni di dollari per la versione F35-A, 101,3 milioni di dollari per la versione F35-B e 94,4 milioni di dollari per la versione F35-C. Il Dipartimento della Difesa statunitense ha stanziato 773 miliardi di dollari per l’acquisto di una nuova fornitura di velivoli.
Un paradosso è che, negli ambienti vicini al complesso militar-industriale, si parla di “democratizzazione” della forza aerea. Così, mentre si discute di crisi delle democrazie, la nuova democrazia sarebbe questa: quella che permette a popoli devastati dalle guerre, afflitti da povertà e diseguaglianze, di dotarsi di micidiali, e comunque costosissime, armi di ultima generazione.
nell’immagine da wikipedia, un drone Predator
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